QUOTA 593 ED IL SACRIFICIO DEL 2° BATTAGLIONE DEL 135th INFANTRY REGIMENT. 34th INFANTRY DIVISION: 6-7 ...
Data: 03/02/2010Autore: ALBERTO TURINETTI DI PRIEROCategorie: Le battaglieTag: #febbraio 1944, quota-593, unità-reparti, usa

QUOTA 593 ED IL SACRIFICIO DEL 2° BATTAGLIONE DEL 135th INFANTRY REGIMENT. 34th INFANTRY DIVISION: 6-7 febbraio 1944

Premessa

In un intervento del maggiore Livio Cavallaro, pubblicato precedentemente su questo sito, è già stata sottolineata l’importanza strategica che assunse la quota 593, "il Calvario", durante i tentativi alleati di sfondare il tratto della Linea Gustav sulle montagne a nord dell’Abbazia di Montecassino [1].

Con queste note si intende porre l’accento sul sacrificio degli uomini del 2° battaglione, del 135° reggimento di Fanteria della 34a divisione americana, che immolarono la loro vita nel tentativo di catturare quella cima tanto contesa.
La descrizione di quanto avvenne fra il 6 ed il 7 febbraio 1944 è tratta soprattutto dalle note stese dal generale John Martin Breit, che, con il grado di colonnello, comandò il reggimento dall’autunno di quell’anno fino alla fine della guerra. Nel 1945 raccolse appunto la storia del 135th Infantry Regiment durante la seconda guerra mondiale, basandosi sui diari giornalieri del comando, dei tre battaglioni e dei rapporti inviati al comando della divisione. Questo prezioso documento è stato donato dal figlio William M. Breit allo Iowa Gold Star Military Museum and Education Center ed oggi è disponibile sul sito www.milhist.net di Patrick Skelly.
Purtroppo l’intera sequenza temporale dei fatti è riportata con qualche inesattezza negli orari, ma l’intero testo dimostra il coraggio e la dedizione con i quali i soldati americani affrontarono i combattimenti.

Al fine di facilitare la lettura è utile aggiungere che il 135° reggimento di fanteria era strutturato su tre battaglioni, come meglio indicato in questo schema.

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Il 135th Infantry Regiment, della Guardia Nazionale del Minnesota, inquadrato nella 34th Infantry Division "Red Bull", aveva lasciato l’Algeria a partire dal 15 settembre 1943 a bordo di tre navi mercantili, che raggiunsero il largo di Paestum il 21, da dove iniziarono le operazioni di sbarco in Italia [2].
Il reggimento entrò in linea fra il 28 ed il 30 settembre, iniziando un lunghissimo ciclo di attività che lo vide protagonista di molteplici e costosi combattimenti fino all’11 dicembre [3].

Il 2° battaglione fu tra le prime unità ad attraversare il Volturno, alla sua giunzione con il torrente Calore, nella notte fra l’11 ed il 12 ottobre 1943, e fu poi impegnato nella lenta e difficoltosa avanzata verso le montagne del Molisano, baluardi tedeschi ormai prossimi alla Linea Gustav, ma, tra il 10 e l’11 dicembre, la 34th Infantry Division fu sostituita al fronte dalla 2e Division d’Infanterie Marocaine, appena arrivata in Italia, ed il 135° fu inviato a riposo nella zona di Sant’Angelo di Alife.

Il giorno di Natale del 1943, il reggimento fu allertato per rimpiazzare il 141st Infantry Regiment (36th Infantry Division) ad est del paese di San Vittore del Lazio, che fu conquistato il 6 gennaio 1944.
Il 15 dello stesso mese, il reggimento fu impegnato nella brillante operazione per la conquista di monte Trocchio, insieme al 168°; il successo fu però pagato a caro prezzo, soprattutto a causa delle numerosissime mine lasciate ovunque dai tedeschi.
Assunta una posizione difensiva a cavallo della statale 6, la via Casilina, piccoli reparti del reggimento cercarono invano di individuare dei punti di passaggio lungo il Rapido, incappando però negli estesi campi minati con conseguenze spesso letali.

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Il 27 gennaio 1944, il 135° fu radunato in un’area prossima al paese di San Michele, da dove, il 1 febbraio raggiunse la nuova zona di impiego; nella notte, mentre il 3° battaglione raggiunse la località di Caira, il 2° subì un pesante bombardamento dalle batterie tedesche appostate nella zona delle caserme italiane, in direzione di Cassino.

Iniziava così un nuovo ciclo di operazioni che avrebbe visto impegnati il 135th, il 168th ed il 142nd Infantry Regiment (36th Infantry Division) nel tentativo di raggiungere l’ambizioso obbiettivo di conquistare le sommità a nord dell’Abbazia di Montecassino e l’Abbazia stessa, scendendo successivamente nella valle del Liri per tagliare la strada statale 6, la via Casilina, ad ovest di Cassino.

2 febbraio 1944

Il mattino del 2 febbraio le nuvole e la nebbia che coprivano le cime impedirono agli osservatori tedeschi di scorgere i soldati americani che iniziarono ad inerpicarsi sulla montagna. Il 2/135° salì verso la quota 445 ed il colle Maiola; il 3/135° raggiunse la cresta del monte Castellone, conquistata dopo un breve combattimento, dove si sistemò a difesa, in attesa dell’arrivo del 142° reggimento, prima di continuare l’attacco previsto contro la quota 706 ed il colle Sant’Angelo [4].
Il 1/135° battaglione ebbe dapprima l’ordine di seguire il 2/135° verso la quota 382, trovando qualche opposizione tedesca alla quota 324, al fine di coprire il fianco sinistro del reggimento, continuando ad avanzare verso la quota 445 e la località Case d’Onofrio. La resistenza tedesca andò a mano a mano inasprendosi e gli americani dovettero fronteggiare furibondi contrattacchi, mentre la nebbia e la pioggia, talvolta mista a neve, che cadde continuamente, costrinsero i soldati allo scoperto ad uno sforzo fisico al limite della resistenza umana.
La nebbia persistente se protesse i soldati americani da più pesanti interventi dell’artiglieria tedesca, provocò confusioni negli itinerari da seguire e negli obbiettivi da riconoscere [5].

4 febbraio 1944

Riporta dunque il generale Breit:

Per tutto il 4 febbraio il 2° battaglione subì un nutrito fuoco di mitragliatrici e di artiglieria di fronte e dai fianchi. Nel pomeriggio un contrattacco nemico fu fermato ancor prima che si materializzasse da un pesante ed accurato fuoco di mortai e di artiglieria. [6]

Nel frattempo il 1/142° era riuscito ad aprirsi la strada verso il monte Castellone, rilevando il 3/135°; Il 1/135° ebbe l’ordine di puntare verso l’Abbazia di Montecassino e continuò ad avanzare verso la quota 445.

Ancora Breit:

La compagnia “C” mandò una pattuglia verso l’Abbazia con il compito di contattare i monaci al fine di verificare se vi erano soldati nemici all’interno. La pattuglia tornò invece indietro, dopo aver perso due uomini, caduti prigionieri. [7].

Nella notte fra il 4 e il 5 si verificò un curioso incidente. Il comandante del 2/135°, probabilmente tratto in inganno dal buio e dalla nebbia che persisteva sulla zona, avvertì il comando del reggimento che la quota 593 era stata conquistata. La vera situazione fu chiarita durante la notte e l’infelice comandante fu addirittura sostituito con il maggiore Donald C. Landon.
Fu indetta una riunione al comando di reggimento, presenti i tre comandanti dei battaglioni, e si dovette constatare che la situazione del 2° battaglione era quasi disperata:

Nessuna compagnia possedeva più di due ufficiali ed i plotoni erano ridotti a meno della metà. Gli uomini erano mentalmente e fisicamente esausti a causa dei continui attacchi e contrattacchi, del continuo bombardamento e del fatto che il nemico occupava sempre posizioni al di sopra delle loro. [8]

In un colloquio fra il comandante del reggimento e quello del battaglione si arrivò ad una sorprendente soluzione e cioè attaccare la quota 593 prima che le compagnie avessero a soffrire di più, nel presupposto che il nemico non poteva avere riserve inesauribili.[9]
Il 1/135° cercò di avanzare verso l’Abbazia sotto un diluvio di fuoco di mitragliatrici e mortai, proveniente non solo dal costone del Monastero, ma anche dai pendii della quota 593, dimostrando come fosse saldamente nelle mani dei tedeschi. Fu un insuccesso ed alla sera la compagnia “C” era ridotta a 15 uomini validi.

5 febbraio 1944

Nel corso della giornata, malgrado un nutrito fuoco di mortai e mitragliatrici proveniente anche da colle Sant’Angelo, il 2/135° riprese ad avanzare, arrivando fino alla base della cresta finale di quota 593 ed Il 3/135° fu fermato sui costoni della quota 706.
Le attenzioni del comando del reggimento si accentrarono sulla conquista della quota 593, affidata al 2/135°, e furono emanati i seguenti ordini: il 1/135° fu spostato verso nord-ovest, alla sinistra del 2/135°, al fine di appoggiare con il proprio fuoco l’attacco con le compagnie “A” e “B” e quel poco che rimaneva della “C”, di supporto; il 3/168° lo doveva sostituire sulle posizioni appena raggiunte sulla quota 445.

6 febbraio 1944

Nella notte fra il 5 ed il 6, l’artiglieria americana fu incessantemente impegnata, “granata dopo granata”, sulla quota 593.[10]
Il 2/135° era talmente mal ridotto che le compagnie “F” e “G” furono unite in una sola, mentre la compagnia “E” doveva creare una base di fuoco di supporto.
Alle 6,30 del 6 febbraio, il 2/135° iniziò l’attacco verso la quota 593, ma come gli elementi di testa si avvicinarono alla cima, si trovarono sotto un pesante fuoco di mitragliatrici proveniente da entrambi i fianchi. Le profonde buche scavate nelle rocce della montagna avevano evidentemente difeso con efficacia i tedeschi dal severo bombardamento americano:

Ancora Breit:

Quantunque il movimento fosse difficile per l’intenso fuoco dai fianchi, gli uomini del 2° battaglione continuarono ad andare avanti fino a pochi metri dalla cima, quando circa 50 uomini spuntarono da un avvallamento della roccia della collina e cominciarono a colpire di infilata con mitra e fucili.

I tedeschi sfruttarono la profonda depressione fra la quota 593 e la quota 569, e sbucarono quasi alle spalle degli americani, ma:

malgrado fossero momentaneamente sorpresi ed obbligati a cercare riparo per l’improvviso e rapido assalto nemico, non si lasciarono prendere dal panico e da qualunque posto poterono trovare riparo, cominciarono a rispondere al fuoco nemico ed a muovere in avanti. Le due compagnie furono fermate a pochi metri dalla cima, davanti al fuoco di mitragliatrici pesanti e bombe a mano.
Gli uomini delle compagnie “F” e “G” furono obbligati ad ammucchiare ripari di pietre per mantenere le loro posizioni ed il nemico cominciò a scendere per il pendio; il combattimento corpo a corpo che ne seguì causò gravi perdite da entrambe le parti, ed i tedeschi furono costretti a ritirarsi verso la cima della quota 593. [11]

Il colonnello Ward, comandante del reggimento, non poté inviare a rinforzo che pochi uomini tratti dal Regimental Intelligence Platoon e dal Regimental Reconnaissance Platoon, che non avevano ovviamente l’esperienza dei fucilieri, ma che si comportarono con grande valore.
Fu allora ordinato alla compagnia “E”, rinforzata da 19 uomini del plotone “I” e “R” di muovere attraverso la compagnia “G” e “F” e di attaccare a sua volta la cima, che fu presa con perdite relativamente lievi.
La compagnia vi si consolidò per prepararsi all’inevitabile contrattacco, mentre le compagnie “G” e “F” allargarono la linea di difesa verso il pendio che scende in direzione della Masseria Albaneta (quota 468), e la compagnia “H” piazzò le proprie mitragliatrici sulla destra dello schieramento.
Alle 15.00 si materializzò l’atteso contrattacco nemico ed una compagnia, stimata in 100 uomini, attaccò improvvisamente senza preparazione di artiglieria.
Il nemico riprese la quota 593 e costrinse la compagnia “E” a retrocedere, ma alla fine fu respinto dal fuoco di armi portatili, granate e fuoco di mortai.

Breit:

Il resto del 6 febbraio, quando cominciò a nevicare, fu osservato che il nemico si raggruppava per contrattaccare, ma ogni volta fu disperso da pesanti sbarramenti dell’artiglieria di supporto, specialmente della Regimental Cannon Company. Il 6 febbraio, il nemico fu chiaramente determinato a tentare un grosso colpo nel respingere il 2° battaglione dalla quota 593. Durante tutto il giorno gli osservatori nemici, sulla collina del Monastero alla sinistra e di colle Sant’Angelo sulla destra, diressero il fuoco sulle posizioni del battaglione.
Frammenti di pietra scagliati dalle esplosioni inflissero più perdite di quanto ne avrebbe provocato un fuoco a “shrapnels”. Tiratori di mitragliatrici bersagliavano costantemente chiunque avesse sporto anche solo una porzione del corpo e ogni movimento sulla quota 593 fu consentito solo strisciando.
Nella notte fra il 6 ed il 7 febbraio gli addetti ai rifornimenti riuscirono ad eseguire con successo il viaggio di otto miglia sotto un pesante fuoco per portare cibo, acqua e munizioni dai punti di stoccaggio vicino a San Michele.
Per tutta la notte il nemico fece quasi impazzire gli uomini con un continuo sbarramento di “Screaming Mimies”, ma quando sorse la luce l’attacco fu rinnovato. [12]

Alcuni tedeschi, che erano riusciti ad infiltrarsi fra gli americani, si erano però attestati in pericolosi capisaldi lungo il pendio della quota 593, che occorreva assolutamente riprendere.

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7 febbraio 1944

Alle 06.00 del 7 febbraio una piccola “task force”, consistente nella compagnia “E” e nel plotone “I” e “R”, 41 uomini e ufficiali, scese dalla collina 593 e dopo un breve scambio di colpi obbligò il nemico, approssimativamente un plotone, a ritirarsi. [13]

Poco dopo mezzogiorno però, il nemico contrattaccò di nuovo con una forza di 100 uomini e questa volta riuscì a mettere fuori combattimento i serventi di una mitragliatrice sul fianco sinistro del battaglione.
Uno degli uomini del plotone “I” e “R” , il soldato G.W. Bufkin, pur avendo una gamba ferita, aveva sentito che qualcuno gridava affinché la mitragliatrice fosse rimessa a posto e zoppicò verso l’arma silenziosa. La impiegò così bene che uccise tre dei tedeschi che avanzavano verso di lui e, anche se era rimasto nel raggio delle bombe a mano, continuò a far fuoco finché se ne andarono. Il soldato Bufkin fu poi decorato con la Silver Star.
Il resto degli uomini era rimasto allo scoperto, ma invece di esporre essi stessi dal bordo del valloncello per sparare, presero a lanciarvi delle granate, creando uno sbarramento che prevenne il nemico dall’avanzare e lo spinse verso il basso in piena vista degli uomini che occupavano le posizioni più in alto.
Questo nuovo metodo di difesa fu un successo e dopo circa un’ora di duello a bombe a mano, il nemico fu di nuovo respinto. Si stimò che avesse avuto almeno 90 morti.
Le tecniche nemiche erano assai costose, ma era evidente che i tedeschi volevano riprendere a tutti i costi la quota 593, sebbene la piccola e valente forza di americani fosse determinata a difenderla.
Un altro mortifero bombardamento di artiglieria e mortai rischiò di sloggiarli dalle loro posizioni, ma li trovò comunque pronti ad affrontare un nuovo combattimento.
Questa volta il nemico sembrò deciso ed attaccò frontalmente ed ai due fianchi, ma quantunque riuscisse con il lancio di bombe a mano a mettere a tacere una sezione di mitragliatrici che proteggeva i fianchi, gli uomini rimasero sulle loro posizioni.

Annota il generale Breit:

Circa alle 15.00 il nemico attaccò con una forza valutata tra i 100 ed i 150 uomini, dopo un pesante sbarramento di mortai che costrinse i difensori della quota 593 a rimanere fermi nelle loro tane fino a che finì.
Quando il fuoco dei mortai ebbe termine, il nemico era già sulla quota 593 e cercava di raggiungere la copertura di un muro di pietre con balzi corti e rapidissimi. [14]
Per fermare il nemico, circa sei uomini inclusi tre del plotone “I” e “R” si appollaiarono dietro al muro di roccia sparando con un BAR e con i Thompson, respingendo indietro il nemico con gravi perdite ed uccidendo almeno 15 uomini. [15]

L'esistenza di un muro di pietre sulla quota 593 è indicata non solo dagli americani, ma anche da inglesi ed indiani che attaccarono sul medesimo itinerario nel febbraio 1944. La presenza di questo muro, dell’altezza di un uomo, si spiega con la presenza di un forte costruito ai primi dell’Ottocento ed ormai in disuso, che faceva parte di una cinta di difesa dell’Abbazia, costruita dopo la depredazione francese del 1799. Probabilmente le vestigia di questo forte furono poi completamente distrutte dai continui bombardamenti fra il febbraio ed il maggio 1944. [16]

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Riuscirono a resistere malgrado il nemico li circondasse e dei tiratori scelti li prendessero di mira dalle rocce, ma i tedeschi più numerosi che negli assalti precedenti, cercarono di superare il muro nella sua parte più bassa.
Un uomo del plotone “R”, benché fosse già stato ferito, rimase fermo sulla cima del muro, sparando con un BAR, uccidendo almeno dieci nemici prima di essere costretto a nascondersi, ma molti tedeschi riuscirono a superare il muro.

Breit:

Questi uomini attaccarono con granate a manico e urlavano continuamente di arrendersi, ma per risposta ricevevano delle scariche di bombe a mano. Altri gruppi tentavano di salire sul muro e di saltare nel mezzo delle posizioni del battaglione, ma ogni volta erano spazzati via dal fuoco dei mitra.
Quelli che riuscirono a superare il muro furono immediatamente uccisi con coltelli, calci di fucile e persino con gli elmetti. [17]

Nel corso di questo combattimento fu impossibile il supporto dei mortai e dell’artiglieria, con il nemico davanti e sui fianchi e con le retrovie sotto il fuoco dell’artiglieria nemica; la posizione del 2/135° divenne disperata, ma i superstiti rimasero determinati a difenderla fino all’ultimo uomo.
In questo strano scontro il nemico soffrì numerose perdite per l’effetto a frammentazione delle granate americane e così l’attacco fu respinto.
Quando l’oscurità cominciò a scendere nel pomeriggio, fu osservato che il nemico cominciava a raccogliere un gran numero di uomini sui due fianchi del battaglione.
I mortai pesanti e l’artiglieria intervennero immediatamente e furono inflitte numerose perdite.

Breit:

Vedendo che il tentativo di riprendere la collina stava per finire in un disastro, il nemico ritirò le sue forze e riprese a bombardare con artiglieria e mortai, cecchinando chiunque si muovesse. [18]

Alle 17.00 però fu tentato un nuovo contrattacco. Gli uomini della compagnia “H” che maneggiavano le mitragliatrici piazzate sui pendii verso la Masseria Albaneta, si accorsero della presenza di circa 70 tedeschi che stavano avanzando; lasciarono che tutti uscissero allo scoperto e aprirono il fuoco, causando perdite pesanti.
Nello stesso tempo un pugno di uomini della compagnia “E”, esponendosi al fuoco, si spinse sull’orlo dell’avvallamento, dietro al nemico, uccidendo almeno 9 tedeschi.

Breit:

Il nemico retrocedette ancora una volta, ma conservò il possesso della cima, sulla quale venne concentrato il tiro dell’artiglieria americana. Per disperdere i concentramenti tedeschi furono utilizzati per la prima volta i mortai da 60 mm., ma fu difficile aggiustare il tiro in quei profondi crepacci e burroni che il nemico utilizzava. [19]

Quando scese la notte i rifornimenti di granate cessarono ed alcuni uomini si difesero lanciando pietre al di là del muro.
Aiutato dal fuoco dell’artiglieria che prendeva di mira tutti gli approcci alla quota 593, il nemico fu però incapace di lanciare altri attacchi ed i pochi che erano ancora sulla quota 593 approfittarono del vantaggio dell’oscurità per ritirarsi nelle buche dietro la cresta.
Dei 17 uomini del plotone “I” e “R” che erano arrivati per rinforzare il 2° battaglione, solo il tenente Lawson e il sergente Bailey ritornarono. Uno dei feriti era il soldato Francis G. Gisborne che di sua iniziativa per tre volte aveva lasciato la sua posizione al coperto e si era esposto all’intenso fuoco nemico per mettere a tacere una mitragliatrice tedesca ed aveva ucciso due cecchini.
Davanti ad uno dei contrattacchi, il soldato Gisborne avanzò fino a 30 piedi dal nemico, si alzò in piena vista, uccise quattro uomini e ne ferì un altro, scombinando la forza attaccante ed affrontando da solo l’assalto.
Ferito, il soldato Gisborne scelse volontariamente di rimanere con i suoi compagni, dirigendo il fuoco di un BAR fino a che i sopravvissuti non furono rilevati. Fu poi proposto per la Distinguished Service Cross.

Il posto di comando reggimentale era a Caira, molto esposto al fuoco dell’artiglieria tedesca, così il 7 febbraio fu spostato nella stessa casa diroccata occupata dal comando del 2/135° battaglione, sulla montagna.
Il colonnello Ward ed il capitano Stacy furono entrambi feriti lo stesso giorno. Il colonnello Ward fu esonerato il mattino dopo essendo stato ferito ad una gamba e il tenente Colonnello Charles B. Everest assunse il comando del reggimento.
La compagnia cannoni sotto l’abile guida del capitano Paul W. Bloman, giocò un ruolo sostanziale nel respingere numerosi contrattacchi tedeschi. In molte circostanze non fu possibile chiedere il sostegno dell’artiglieria perché le rispettive linee erano troppo vicine [20].
Nel giorno e mezzo in cui il 2° battaglione era rimasto sulla quota 593 aveva respinto cinque contrattacchi, usando almeno un migliaio di bombe a mano.

Tra l’8 ed il 10 febbraio, il 2/135° fu trattenuto su posizioni più arretrate per sostenere i ripetuti attacchi verso l’Abbazia, la quota 593 e la Masseria Albaneta, sfociati in altrettanti e sanguinosi insuccessi [21].
Nella notte fra il 10 e l’11 febbraio, i reparti americani cominciarono ad essere sostituiti dai battaglioni della 4a divisione indiana.

Le perdite del 2/135° nel periodo 1-12 febbraio 1944 furono di 84 caduti, 332 feriti e 30 dispersi per un totale di 446 uomini.
Tra il 6 e l’8 febbraio 1944 caddero 32 uomini, i feriti furono 123, i dispersi 9.

I reparti tedeschi che difesero la quota 593 nei giorni 6 e 7 febbraio appartenevano al I./361° reggimento granatieri della 90a divisione meccanizzata ed al II./1° reggimento paracadutisti. [22].

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Tra le liste delle perdite del reggimento si trovano molti nomi di chiara origine italiana. Ne proponiamo un piccolo campionario, di appartenenti al 2/135°, caduti o feriti nella battaglia di Cassino, durante il ciclo operativo che vide questo battaglione combattere per quella quota 593, "il Calvario", che tanto sangue vide spargere tra il febbraio ed il maggio 1944:

Note

  1. ^ Cfr. Livio Cavallaro, Quota 593, monte Calvario, i segreti di una collina inespugnabile, in www.dalvolturnoacassino.it
  2. ^ Cfr. www.34infdiv.org, 135th Infantry Regiment, Narrative History.
  3. ^ In questo periodo il reggimento subì 326 perdite fra caduti, feriti e dispersi, oltre a ben 392 ufficiali e soldati colpiti da itterizia e malaria. Cfr. www.34infdiv.org, 135th Infantry Regiment, Narrative History.
  4. ^ Il “142nd Infantry Regiment” era stato impiegato dal 28 gennaio 1944 nell’attacco in direzione di Terelle, in appoggio alla “3e Division d’Infanterie Algérienne” durante quella che i francesi chiameranno la battaglia del Belvedere. Cfr. Alberto Turinetti di Priero, La battaglia del Belvedere, due documenti a confronto, in www.dalvolturnoacassino.it
  5. ^ Per quanto riguarda una puntuale descrizione dell’offensiva americana si rimanda il lettore al libro del maggiore Livio Cavallaro, Cassino, Mursia, Milano, 2004.
  6. ^ www.milhist.net, 135th Infantry Regiment, Part 8, pag. 23.
  7. ^ Ibidem, pag. 23. Poco dopo, un’altra pattuglia fu inviata verso il Monastero. Essa raggiunse la base del muraglione esterno, sorprendedndovi alcuni tedeschi che furono fatti prigionieri. Cfr. Livio Cavallaro, Cit., pag. 83.
  8. ^ Ibidem, pag. 24.
  9. ^ Nel solo mese di gennaio 1944, il 135tth Infantry Regiment ebbe a subire 523 perdite fra morti, feriti e dispersi. Il solo 3° battaglione perse 165 uomini dal 1 al 4 febbraio. www.mililist.net, pag. 24.
  10. ^ www.milhist.net, 135th Infantry Regiment, Part 8, pag. 26.
  11. ^ Ibidem, pag. 26.
  12. ^ Ibidem, pag. 28.
  13. ^ Ibidem, pag. 29.
  14. ^ Ibidem, pag. 30.
  15. ^ Ibidem, pag. 30.
  16. ^ Si ringrazia vivamente Don Gregorio De Francesco, archivista dell’Abbazia di Montecassino, per le informazioni che hanno permesso di stabilire con esattezza la presenza di queste vestigia e l’esistenza del fortino.
  17. ^ Ibidem, pag. 30.
  18. ^ Ibidem, pag. 30.
  19. ^ Ibidem, pag. 29.
  20. ^ Nel periodo fra il 1 ed il 13 febbraio, la compagnia cannoni (8 obici da 75 mm.) sparò 32.071 colpi da M 48 RB, 372 colpi da M 45 BE e 508 colpi di fumogeni.
  21. ^ Gli attacchi successivi al 7 febbraio, furono sostenuti dal 1° e 3° battaglione del 168° reggimento fanteria, dal 1° e 3° battaglione del 141° reggimento fanteria e dal 142° reggimento fanteria, entrambi della 36a divisione di fanteria.
  22. ^ Cfr. Livio Cavallaro, Cit., pag 69-94.

Bibliografia

Sitografia

Aggiornamento
In data 20/05/2012 e 16/08/2015: sistemazione complessiva del testo e delle immagini.

Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.

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