Il salvataggio del tesoro di Montecassino
NOTA DI AUTORIZZAZIONE
Questa pagina è stata redatta traendo grande parte dei contenuti e delle note da due volumi:
Il primo contiene alcuni documenti riferiti al periodo, difficilissimo per Montecassino, che va dall'ottobre 1943 al febbraio 1944, il più importante dei quali è il diario tenuto da don Eusebio Grossetti dall'inizio del novembre 1943 fino al 13 febbraio 1944, data della sua morte, e poi continuato da don Martino Matronola fino al giorno del bombardamento. Il secondo è uno studio degli autori basato su testimonianze e documenti inediti (2012) che rimette in discussione la versione tradizionalmente accettata del salvataggio del tesoro di Montecassino.
L'utilizzo in questo sito internet di alcune parti di questi volumi è stato concesso rispettivamente dall'Archivio di Montecassino [1] e dalla casa editrice Le Lettere [2].
* * *
Premessa
La versione tradizionalmente accettata che il salvataggio delle opere d'arte di Montecassino dai bombardamenti alleati sarebbe dovuto all'iniziativa di due ufficiali tedeschi, animati dall'esclusiva volontà di salvare un patrimonio della cultura occidentale, ha sempre suscitato tra gli studiosi dubbi e perplessità.
In questa pagina riportiamo in maniera obbligatoriamente schematica i passaggi salienti di questa vicenda e rimandiamo alla lettura dei volumi citati per un migliore approfondimento dei singoli aspetti e personaggi.
Il memorandum Oster
A riproporre una "diversa" versione della vicenda è un documento oggi conservato all'Imperial War Museum [3] e affidato dalla contessa Maria Josepha Gani, figlia del generale Frido von Senger und Etterling il quale per vari motivi aveva sempre preferito non renderlo pubblico. L'insistenza però dei commilitoni dello Schlegel di ottenere una lapide in cui si sarebbe consegnata alla storia la loro versione, convinse la contessa Gani a mettere a disposizione degli studiosi questo documento al fine di ristabilire la verità dei fatti. Nel documento viene per la prima volta scritto in modo chiaro che l'operazione compiuta dai soldati della divisione Hermann Göring (HG) fu un tentativo di furto più o meno mascherato da "salvataggio". A bloccare la rapina completa era stato l'intervento del generale Von Senger, senza il suo intervento tutte le casse trasportate dall'Abbazia avrebbero rischiato di finire in Germania invece di essere riportate a Roma.
Autore del memorandum e della dichiarazione giurata che lo accompagna, scritti entrambi nel 1946, è Achim Oster [4], l'ufficiale che come primo General Staff Officer aveva seguito da vicino l'operato di Von Senger sul fronte di Cassino.
Questa "diversa" versione non è completamente inedita, il ruolo di Von Senger nel salvataggio dei tesori di Montecassino fu evocato da Drutmar Helmecke durante le esequie funebri del generale [5] e in Italia da Silvio Bertoldi, Carlo Gustavo di Groppello e Sergio Romano. [6]
I tesori custoditi nell'Abbazia
Dopo l'armistizio le iniziative per mettere in salvo le opere d'arte e proteggere i monumenti, già in corso dall'inizio della guerra, aumentarono. L'Abbazia per la sua
posizione e sacralità fu ritenuta dal alcuni un luogo sicuro; scelta che come sappiamo si rivelerà errata.
Nell'Abbazia quindi, oltre all'archivio, ai manoscritti ed agli oggetti preziosi propri della Badia, erano conservati anche altri "tesori"; vediamo quali.
Museo Keats e Shelley
I primi a bussare alle porte del monastero furono i responsabili del piccolo museo romano dove sono conservati manoscritti ed i cimeli del poeta inglese John Keats e del suo amico Percy Bysshe Shelley. Il 16 dicembre 1942 due preziose scatole contenenti i memorabilia più preziosi del museo, furono recapitate all'Abbazia e consegnate a don Mauro Inguanez, direttore degli Archivi di Montecassino. Fu lo stesso Inguanez a farle sfuggire alla perquisizione dei tedeschi prima dell'inizio dello sgombero e poi a nasconderle, il 27 ottobre, tra i suoi effetti personali.
Il 30 ottobre a sgombero quasi ultimato, Inguanez partì alla volta di Roma con i preziosi cimeli di Keats e Shelley nel suo bagaglio, a dargli un passaggio fu proprio il capitano medico Becker. Inguanez fu lasciato a S. Anselmo sull'Aventino ed il 30 novembre le due scatole furono recuperate e riportate al museo che superò indenne il passaggio del fronte e riaprì nell'estate del 1944.
Il tesoro di San Gennaro
Il secondo tesoro che trovò rifugio nell'Abbazia fu quello di San Gennaro. A consegnare il prezioso deposito il 26 maggio 1943 era stato il principe Stefano Colonna; le tre casse contenevano i gioielli dedicati al santo protettore di Napoli, spille e croci donate da quasi tutte le dinastie europee e preziosi argenti. Le casse furono prese in cura dall'abate Diamare e conservate nella biblioteca dove vi erano le cose più preziose dell'Abbazia dopo le reliquie di San Benedetto; furono in seguito spostate dalla biblioteca per nasconderle ad una perquisizione.
Il 19 ottobre furono caricate sul primo camion che trasportava a Roma i beni privati dei monaci senza che i tedeschi sospettassero che tra le masserizie vi fosse uno dei più ricchi tesori del mondo. A Roma le casse furono portate a San Paolo fuori le mura, dove il principe Colonna potè recuperarle nel marzo del 1947 [7].
Il Medagliere di Siracusa
Il Medagliere era nasconto nei sotterranei del museo siciliano fin dal 1940 ma nella pimavera del 1943, quando si profilò la possibilità che la guerra potesse spostarsi in Sicilia, si decise di allontanarlo dall'isola. Prima verso Roma, nel giugno 1943, e poi verso Montecassino dove le casse del peso complessivo di 400 chilogrammi arrivarono il 3 luglio.
In un primo momento le casse furono collocate in un salone dell'Abbazia, il 14 ottobre vennero spostate e nascoste nei sotterranei dopo l'arrivo dei due ufficiali tedeschi. I monaci poi riuscirono a spedirle a Roma, all'insaputa dei tedeschi, nascoste tra i "beni privati" dell'Abbazia. Il Medagliere fu depositato prima a S. Paolo fuori le mura e poi trasferito in Vaticano.
Le casse del principe di Piemonte
Le casse appartenenti al Principe di Piemonte, il futuro re Umberto, sono menzionate dal Diario di guerra , temendo una perquisizione dei tedeschi, sono anch'esse nascoste nei sotterranei dell'Abbazia. Sul loro contenuto e recupero non ci sono informazioni; secondo don Faustino [8] contenevano carte della Mostra d'Oltremare.
I tesori di Napoli
In quel periodo nei musei della città partenopea oltre alle opere proprie erano presenti anche le opere inviate dai musei di tutta Italia per
la Mostra d'Oltremare. Per porle al riparo, circa 60.000 opere vengono distribuite in luoghi sicuri tra cui Montecassino.
La prima "consegna" avviene il 15 giugno con 60 casse provenienti dal Museo Archeologico di Napoli e contenenti oggetti d'arte antica (ori, argenti, vetri, gemme, avori).
Tra il 6 e il 7 settembre vengono ricoverate 100 casse contenenti 413 dipinti dei musei di Napoli e altre 87 casse con il meglio delle collezioni archeologiche del
Museo Nazionale, alcuni grandi bronzi pompeiani e la collezione di gioielli romani.
Da Montecassino queste "casse" prenderanno strade diverse e, come vedremo in seguito, il loro recupero sarà ben più complesso di quello degli altri tesori custoditi dall'Abbazia.
L'iniziativa Becker - Schlegel
La mattina del 14 ottobre 1943 si presentarono all'Abbazia, separatamente e all'insaputa l'uno dell'altro, due ufficiali della divisione HG: il
capitano medico Maximilian Becker ed il tenente colonnello
Julius Schlegel; chiedendo di poter parlare con l'abate Gregorio Diamare. Il primo ad arrivare fu Schlegel accompagnato da un interprete.
Il secondo accompagnato da due francescani. Uscendo dall'abate Schlegel incrocia Becker che rimane di stucco; i due si presentano e Schlegel disse che era lì su richiesta del
tenente colonnello Siegfrid Jacobi, proprio lo stesso ufficiale a cui il giorno prima si era rivolto Becker per cercare di organizzare il salvataggio.
Riavutosi dalla sorpresa di essere stato preceduto da Schlegel in Abbazia, Becker torna a parlare con Jacobi per avere spiegazioni sul fatto che fosse stato scavalcato.
Venne deciso che i due ufficiali avrebbero lavorato insieme. L'indomani (16 ottobre ndr) i due tornarono insieme all'Abbazia e riuscirono a convincere l'Abate della necessità dello
sgombero ma non ad abbandonare il Monastero.
Secondo Becker a suggerirgli l'idea dello sgombero di Montecassino erano stati due francescani del monastero di Teano, Giovanni Giuseppe Carcaterra e Baldassare
Califano, memori del suo aiuto nel trasportare dal monastero di Teano a Spoleto le casse che contenevano i libri provenienti dalla Biblioteca Nazionale di Napoli e da quella di
Benedetto Croce. Becker si rivolse a Jacobi, l'addetto ai rifornimenti della Divisione HG, che si era dichiarato d'accordo ma voleva però in cambio "qualche cosa per noi"
come "un paio di quadri", anche se congedando Becker disse che era "tutto uno scherzo".
Schlegel invece racconta di avere avuto l'idea del salvataggio dopo essere venuto a conoscenza che
Montecassino si sarebbe trovato sulla linea del fronte e di avere obbedito ad una "voce interna" che lo esortava a "fare tutto quanto era possibile".
Sia Becker che Schlegel rivendicano, in modi diversi, la primogenitura dell'idea ed il merito di avere difeso il patrimonio della civiltà occidentale di propria
esclusiva iniziativa e a proprio rischio e pericolo. Ma Becker sembra più attendibile e verosimile. Nessuno dei due, nei rispettivi memoriali, parla di un
"ordine superiore". Eppure, come riferiscono don Tommaso Leccisotti e don Mauro Inguanez [9], al loro arrivo in Abbazia si dissero inviati dal generale
Paul Conrath, comandante della divisione HG, e con l'intesa del ministero dell'Educazione Nazionale.
Bisogna in ogni caso ammettere che senza lo sgombero difficilmente i tesori si sarebbero salvati dal bombardamento che avrebbe raso al suolo il Monastero pochi mesi dopo. Insomma, è comunque grazie all'operato di Becker e Schlegel se oggi possiamo ancora ammirare quei capolavori.
Lo sgombero
Il 17 ottobre, con l'arrivo di due autocarri che portavano le assi di legno per la costruzione delle casse, iniziarono le operazioni di sgombero.
Al confezionamento delle casse vennero adibiti dei militari tedeschi scelti da Schlegel, tutti esperti falegnami e carpentieri che in breve tempo allestirono "parecchie
centinaia di casse oltre a scompartimenti per quadri e bauli per oggetti preziosi" [10]. Anche alcuni civili, scelti tra i rifugiati nell'Abbazia, lavorarono alla costruzione
delle casse.
Nonostante i vari tentativi dei monaci di occultare gli oggetti più preziosi, non si riuscì a tenere nascosta la presenza delle 187 casse dei musei di Napoli. A rivelarla fu uno dei due guardiani lasciati dai musei napoletani proprio per vigilare sulla loro custodia. I due ufficiali dissero all'abate che avrebbero trasportato in Vaticano anche quelle 187 casse, l'abate dopo una prima opposizione motivata dal fatto che si trattava di beni dello Stato italiano, valutata la propria impotenza, non potè che accettare. Ottenuto il consenso i due ufficiali proposero di portare le casse ad Assisi o anche più a nord, alimentando i dubbi che Diamare nutriva sui possibili sviluppi dell'operazione.
Le cose da portare via furono divise in due categorie: quelle appartenenti allo Stato italiano (di cui l'abate era il conservatore in base alla legge del 1868)
[11], come la Biblioteca Monumentale e l'Archivio, e quelli di proprietà dell'Abbazia. I primi tesori a partire, comprese le casse di Napoli, furono i beni
appartenenti allo Stato, per "essere depositati [...] in un luogo che non viene rivelato" [12]. "Il giorno 17 partirono i primi tre camion" [13],
che trasportavano parte dell'Archivio.
In tempo record furono imballati i 70.000 volumi della Biblioteca monumentale in 240 casse, gran parte degli 80.000 documenti dell'Archivio, codici, corali e pergamene
in 26 casse e 128 contenitori. E poi quadri, reliquie, piviali ecc.. Non furono trasportati il magnifico coro ligneo, i dipinti della chiesa, e parte degli arredi sacri,
nonché i volumi della biblioteca privata dell'Abbazia, costituita dopo il 1886.
Le operazioni procedettero spedite, con camion che regolarmente portavano via non solo casse di libri e pergamene, ma anche reliquie, monaci
e suore. Salirono sugli automezzi le Benedettine, le Suore della carità e le Stigmatine con le orfanelle che avevan trovato rifugio nell'Abbazia.
Tutto veniva registrato con cura e puntiglio. La lista del materiale trasmessa da don Martino a don Leccisotti, inviato a Roma per ricevere il materiale e prendere contatti
con il Vaticano, è un esempio di precisione rimarchevole date le circostanze.
I monaci, sempre sospettosi nei confronti dei tedeschi, nascosero in varie casse, tra libri e pergamene, le sette cassette che contenevano il preziosissimo Medagliere di Siracusa.
Tra le cose private del monastero passarono anche le tre casse contenenti il tesoro di San Gennaro e una grande cassa di zinco che conteneva i codici e i placiti più
preziosi.
Lo sgombero procedette senza intoppi, filmato da un'attiva macchina della propaganda nazista. Le richieste di informazioni di un ufficiale tedesco prima e di due
capitani dopo giunti in Abbazia, su cosa stesse accadendo, sono esaudite e gli ufficiali se ne vanno senza altre obbiezioni.
Da Roma giungevano notizie che i camion con i beni privati dell'Abbazia erano arrivati sani e salvi, facendo passare in secondo piano il fatto che di quelli con i beni
dello Stato, non scortati dai monaci, se ne era persa traccia.
In un clima quindi ora più disteso l'abate consegnò una pergamena in latino, miniata da don Eusebio Grossetti, in cui si ringraziava per l'opera svolta il cattolico
Schlegel ed il protestante Becker. Una terza pergamena per il generale Conrath sarà consegnata da Schlegel nei giorni seguenti. [14]
Il 3 novembre partirono gli ultimi due camion.
Destinazione ignota e pressioni per la restituzione
I camion che trasportavano le proprietà dello Stato avevano come destinazione, almeno in un primo tempo, il deposito della divisione HG ricavato nella villa Marignoli a Colle Ferretto, una vasta residenza di campagna appena fuori Spoleto, a circa 120 chilometri da Roma. L'ordine di portare queste casse a Spoleto fu impartito da Schlegel; la destinazione rimase sconosciuta per circa un mese.Nel frattempo era cresciuto l'allarme delle istituzioni civili e religiose e della stampa per la sparizione dei tesori e al barone Bernhard von Tieschowitz non restò che rivelare il luogo dove erano depositati. Tieschowitz era giunto in Italia alla fine di ottobre per creare il Kunstschutz [16] e subito dovette affrontare la questione di Montecassino. Una volta informato non perse tempo e dopo avere sentito Schlegel e Jacobi e capito quale fosse il "disegno" mise al corrente l'ambasciatore tedesco. Il 4 novembre, informò Giulio Carlo Argan (uno degli ispettori centrali del ministero dell'Educazione nazionale) [17] del luogo in cui erano "custodite" la casse con i beni dello Stato. Il 12 novembre si recò dal generale Kesselring il quale assicurò il suo intervento affinchè i tesori fossero portati in Vaticano. Non fu così semplice, la divisione HG opponeva un netto rifiuto. Anche Gerhard Evers, giunto a Roma il 22 novembre per dirigere il Kunstschutz italiano, nonostante le rassicurazioni ricevute da Tieschowitz (22-24 novembre 1943) circa la risoluzione della vicenda di Montecassino, dovette fare pressioni ripetute alla divisione HG affinchè eseguisse al più presto i trasporti [18].
Anche il generale von Senger, che assume il comando del XIV Corpo corazzato il 25 ottobre, saputo per caso cosa stava combinando la divisione HG decise di intervenire. Prima avverte i suoi superiori, in quanto non aveva alcun controllo sulla divisione HG e necessitava quindi della loro copertura, e poi forte anche delle accuse di rapina che ormai circolavano sulla stampa [19], ordinò di portare tutto a Roma.
La riconsegna
Il 6 dicembre l'ispettore de Tomasso della Direzione generale delle arti, viene convocato da Evers che tra gli altri argomenti gli anticipa la riconsegna delle casse asportate da Montecassino. Evers chiede che la cerimonia di riconsegna abbia una certa solennità, dovrà rispondere "alle insinuazioni della radio britannica che ha additato al pubblico disprezzo l'esercito tedesco, accusandolo di avere depredato l'abbazia di Montecassino mentre al contrario l'esercito tedesco si è limitato a mettere in salvo tale materiale".
8 dicembre 1943
Era la mattina inoltrata del 8 dicembre, un giorno freddo ma soleggiato. Circa un centinaio di persone erano state radunate davanti a Castel Sant'Angelo a favore della propaganda nazista che voleva che la riconsegna si svolgesse con "una certa solennità". Schlegel era presente ed anche il generale Kurt Mälzer, comandante in capo a Roma; era assente Becker, nessuno lo aveva avvisato. I 12 camion scendono lungo la sponda opposta del Tevere, attraversano il ponte e si fermano davanti al portone di Castel Sant'Angelo; Schlegel lesse una dichiarazione al microfono del radiocronista fascista, strinse la mano ad un religioso rappresentante del Vaticano ed entrambi si rivolsero verso la cinepresa che riprendeva l'evento.
Militari tedeschi cominciarono a scaricare le preziose casse e le consegnavano sul portone a manovali italiani che lungo un piano in discesa le portavano all'interno, in territorio vaticano neutrale. Tutte le operazioni furono costantemente filmate. La cerimonia ebbe fine entro mezzogiorno, la folla si sparpagliò e le telecamere furono riposte [20].
Quel giorno furono restituiti: [21]
8 dicembre 1943 Castel Sant'Angelo, Roma. Restituzione dell'Archivio e della Biblioteca Monumentale.
4 gennaio 1944
Nonostante la consegna delle casse degli Archivi di Montecassino, la preoccupazione tra i funzionari della Direzione generale delle arti non era per nulla diminuita. Il giorno seguente alla prima consegna, Emilio Lavagnino ed Argan erano tornati alla carica sul solito tasto: Spoleto. Evers disse che la divisione HG era impegnata al fronte; ma il suo comandante persisteva nel proposito di effettuare la restituzione con propri mezzi, non appena gli fosse stato possibile.
Il 4 gennaio 40 autocarri arrivano in piazza Venezia filmati e fotografati dalla solita macchina propagandistica. Il maggiore Evers pronuncia delle "brevi parole" [22] mentre il colonnello Schlegel effettua la formale consegna delle casse. La restituizione riguarda 600 casse di libri [23] e 172 casse di opere d'arte; in relazione a queste ultime i funzionari delle Belle Arti che le ricevettero scoprirono che a Montecassino erano state portate 187 casse, 15 in più di quelle che stavano ora ricevendo. Chieste spiegazioni si sentirono rispondere che due autocarri erano in ritardo. Gli italiani attesero tutta la notte, ma di autocarri non ne giusero più.
Schlegel negherà più tardi di essere stato presente alla seconda consegna [24], anche se filmati e fotografie lo riprendono sul posto quel giorno. Anche Becker era di nuovo assente, in licenza presso la famiglia.
Le opere d'arte e gli oggetti mancanti
Dopo la seconda consegna il maggiore Evers si affretta a smentire le voci sui camion mancanti e lo stesso fa Tieschowitz che in un rapporto del 14 febbraio allo Stato maggiore tedesco riferisce che tutto era stato consegnato. In seguito Evers dirà di essere venuto a conoscenza solo in un secondo momento che le casse mancanti erano nel comando del generale Kesselring al monte Soratte. Chiese spiegazioni ma gli fu risposto che non era un suo problema ed egli non insistè. Alla fine della guerrà passerà dei guai, accusato di colpevole negligenza, di mancata vigilanza e di non avere esaminato le casse al momento della restituzione [25]. Riuscirà a scagionarsi grazie alla testimonianza di alcuni funzionari delle Belle Arti; solo Rodolfo Siviero continuerà a restare convinto che Evers fosse stato un'importante pedina delle trame tedesche di razzia delle opera d'arte.
Tra il 26 giugno e il 17 luglio 1944, il tenente colonnello Ernest T. DeWald compie un sopralluogo in Vaticano dove, sulla base dell'inventario stilato a Napoli al momento del trasferimento delle opera d'arte a Montecassino, può verificare la situazione. E' in questo momento che per la prima volta si conosce che vi è stato effettivamente un furto e qual'è la sua reale dimensione.
Il rapporto stilato da DeWald evidenzia la mancanza di numerosi quadri ed oggetti [26]. Molti saranno ritrovati in Austria già nell'agosto 1944 e riconsegnati all'Italia nel 1947; di alcuni altri si è persa ogni traccia e ancora non sono stati ritrovati.
Interrogativi ancora aperti
Il documento Oster fornisce l'occasione per ricercare la verità alla luce dei fatti, dopo che per anni si affermata invece una verità basata sulle
passioni e sulla riconoscenza per chi organizzò lo sgombero permettendo il salvataggio di libri ed opere d'arte.
Certo molti interrogativi rimangono ancora aperti, il memorandum non chiarisce se il salvataggio nacque come rapina o se lo diventò strada facendo. Nemmeno a che livello
partì l'iniativa. Che peso ebbe l'azione del Vaticano? In che data Von Senger intervenì? Quando avvertì i suoi superiori di cosa stava accadendo? Fu per sua iniativa che
Kesselring entrò in azione? Tutti interrogativi per il momento senza risposta, in attesa di poter consultare gli Archivi del Vaticano, oggi ancora non disponibili per gli
anni relativi a quel periodo.
Diversa è anche la valutazione del salvataggio tra una posizione, come quella di Siviero, che lo inserisce nel progetto di rapina delle opere d'arte italiane avviato ben prima del'8 settembre, e quella di Lutz Klinkhammer più propenso a ritenerlo come un'iniaziativa il cui svolgimento è legato alle varie anime della compagine tedesca dove convivevano sia dei rapinatori sia dei sinceri protettori delle opere d'arte italiane [27].
Immagini
La raccolta presente sul sito.
Bibliografia
Note
Ringraziamenti