I CARRI ARMATI POLACCHI A PIEDIMONTE SAN GERMANO.
20-25 maggio 1944.
Premessa
Molti storici che si sono dedicati alle battaglie per Cassino o alle sorti dell’Abbazia fermano i loro studi alla data del 18 maggio
1944, quando i primi soldati polacchi fecero il loro ingresso nel Monastero; altri invece hanno dedicato i loro lavori all’offensiva
sul Garigliano e nella Valle del Liri, destinando però solo poche righe ai combattimenti sostenuti dal 2° Corpo polacco davanti alla
Linea Senger.
Questo breve saggio non va considerato come un’opera esaustiva, perché la storia di quella vera e propria battaglia, che si svolse dal
20 al 24 maggio 1944 per il possesso del paese di Piedimonte San Germano, è tuttora avvolta da incertezze e misteri, mai del tutto
chiariti dalle scarne fonti storiche che la riguardano.
Antefatto
Soltanto nel pomeriggio del 17 maggio 1944, i comandi tedeschi si resero conto della profondità dello sfondamento della Linea Gustav
da parte del Corps Expéditionnaire Français sui Monti Aurunci e delle truppe americane del II Corpo che avevano raggiunto una linea
ad Est di Formia ed a 2 chilometri ad Est di Itri. Nella Valle del Liri le truppe dell’8a Armata britannica erano riuscite ad occupare
defintivamente le rovine della città di Cassino ed a superare il corso del Gari.
Alla sera, il comando della 10a Armata emanò l’ordine di ritirata sulla nuova linea di difesa, che per i Tedeschi fu sempre la “Linea
Senger” e per gli Alleati la “Linea Hitler”.
Nella notte fra il 17 ed il 18, la 1a divisione paracadutisti aveva così abbandonato le proprie posizioni a Montecassino e nel corso
della giornata del 18, anche quanto rimaneva del II battaglione del reggimento Gebirgsjäger 100 ed il plotone pionieri del
IV battaglione Hochgebirgsjäger, schierati a nord della Masseria Albaneta, ultimarono il loro ripiegamento verso Villa Santa Lucia. [1]
In quel 18 maggio 1944, i reparti polacchi del 2° Corpo, sfiniti dai combattimenti sostenuti, erano intenti a riorganizzarsi;
dopo l’occupazione del Monastero, in un paesaggio da inferno dantesco, i soldati passarono quel giorno a rastrellare il terreno,
dove qualche sparuto ed isolato gruppo di tedeschi resisteva ancora, a recuperare morti e feriti dal campo di battaglia ed ad aprirsi
varchi nei campi minati.
Soltanto alla sera fu possibile, dopo aver preso contatto con la 78a divisione di fanteria britannica, stabilire che se i Tedeschi
avevano totalmente abbandonato il campo attorno all’Abbazia, conservavano però saldamente il possesso della cima di Pizzo Corno
(quota 945) ed il Monte Cairo (quota 1.669). All’imbrunire pattuglie di fanteria entrarono nell’abitato di Villa Santa Lucia, prendendo
atto che anche quel paese era sgombro da reparti nemici. [2]
Il piano alleato
Superato il fiume Gari, le avanguardie dell’8ª divisione indiana, che era rientrata in linea alla mezzanotte del 19, erano avanzate
fino alla linea ferroviaria per Roma con la 21ª brigata, incontrando una scarsa resistenza nemica ed attestandosi all’altezza della
stazione di Piedimonte San Germano e del bivio della strada che dalla Casilina sale a Piedimonte.
La 78a divisione britannica, malgrado il rinforzo di un reggimento blindato canadese, non era riuscita a forzare la posizione di
Aquino e la 1a divisione di fanteria canadese era arrivata alla sera del 18 a meno di 1.500 metri dalla strada Aquino-Pontecorvo. In
entrambi i casi però, il primo approccio alla Linea Senger si era risolto con uno smacco, costato pesanti perdite.
Il generale Leese stimò che l’8a Armata avrebbe avuto più interesse a preparare una nuova operazione che lanciarsi sconsideratamente
all’assalto delle difese nemiche.
Il 18 maggio, il generale Alexander riassunse le prossime mosse in una lettera al primo ministro inglese:
... Ho ordinato all’8a Armata di usare l’estrema energia nello sfondare la Linea Hitler nella Valle del Liri prima che i Tedeschi abbiano il tempo di impiantarvisi. Ho anche stabilito – directed - che i Polacchi esercitino da subito una pressione su Piedimonte in modo da aggirare la Linea da Nord. Ho indicato al Corpo francese, dopo la cattura di Pico, di girare verso Nord per prendere alle spalle il nemico che fronteggia l’8a Armata.” [3]
L’idea del generale Alexander era quindi quella di sfondare - break thgrough - la linea tedesca nella Valle
del Liri e di chiedere ai Polacchi di esercitare una pressione a Piedimonte così da aggirare la Linea da Nord - “press
on at once in Piedimonte so as to turn this Line from the North.”
Quali furono gli ordini conseguenti emanati dal comando dell’8a Armata?
Il generale Leese, in una conversazione con il generale Anders, avvenuta al mattino del 19, si era limitato ad indicare che la futura
linea d’azione polacca sarebbe stata la direttrice Piedimonte-Castrocielo. [4]
Una più chiara richiesta d’intervento arrivò al comando del generale Anders soltanto alle 17,30 del 19 maggio. Il generale Leese ordinò
di:
prendere contatto con la Linea Hitler a Nord della Statale n. 6 e sviluppare un’operazione con l’obbiettivo di aggirarla da Nord. [5]
Il generale Anders nelle sue memorie scrive di un ordine, emanato sicuramente dal comando del 2° Corpo, nel quale spicca la frase:
catturare Piedimonte e proteggere il fianco destro del XIII Corpo d’Armata (britannico n.d.r.), Villa Santa Lucia-Piedimonte. [6]
Però durante un incontro, avvenuto il 20, il generale Alexander riassunse la sua richiesta in tre punti: voleva che i Polacchi fossero
in costante contatto con le linee tedesche mediante pattuglie per dare al nemico l’impressione di un attacco imminente e, nel caso che
i Tedeschi si fossero ritirati, bisognava impegnarli fino a Castrocielo. [7]
Ci fu quindi una serie di malintesi ed equivoci fra i massimi vertici dei comandi?
La contemporanea azione verso Pizzo Corno, che finì per impegnare reparti che sarebbero stati tanto necessari a Piedimonte, fu un’iniziativa solo polacca?
In ogni caso per far fronte alla richiesta ed a causa delle forti perdite subite attorno a Monte Cassino, il generale Anders non
ebbe molte alternative. Al comando del 2° Corpo fu deciso di far scendere in campo l’unica unità di riserva non ancora utilizzata,
il 6° reggimento corazzato “Dzieci Lwowskich”, al comando del tenente colonnello Henryk Swietlicki. [8]
Fu invece impossibile, a
causa delle perdite subite e della stanchezza degli uomini, trovare un reparto organico di fanteria per appoggiare l’attacco dei
carri. Si dovette ricorrere ad un reparto di formazione composto da 120 uomini del XVIII battaglione fucilieri della 5a divisione
Kresowa, da 60 uomini della compagnia di difesa dello Stato Maggiore del 2° Corpo e da un plotone del X battaglione zappatori.
Nelle prime fasi, l’azione sarebbe stata sostenuta da una “divisione” del 9° reggimento artiglieria da campagna e dalla 7a batteria
della 2a divisione del 7° reggimento artiglieria controcarro. [9]
Nulla si sapeva sulla consistenza delle difese tedesche e della loro disposizione, perché soltanto nel corso della giornata del 19, le
pattuglie che operavano dalla zona di Villa Santa Lucia, trovarono che il paese di Piedimonte San Germano e le alture che lo sovrastano
erano ancora occupati, senza però riconoscere la reale entità delle difese. [10]
Il paese di Piedimonte San Germano e la Linea Senger
Tra il 18 e il 19 maggio, i Tedeschi completarono dunque la loro ritirata sulla Linea Senger che facendo perno sulla cima di Pizzo
Corno (quota 945), dove si congiungeva alla Linea Gustav, scendeva lungo le falde di Monte Cairo a Nord-Ovest dell’abitato di Villa
Santa Lucia fino al paese di Piedimonte San Germano, per poi tagliare la Valle del Liri davanti agli abitati di Aquino e di
Pontecorvo. [11]
Nel settore di Piedimonte in particolare, la sistemazione difensiva correva lungo le pendici meridionali di Pizzo Corno, risalendo il
costone di quota 553 e raccordandosi da lì all’abitato, fortemente organizzato a difesa. L’andamento della linea seguiva poi le pendici
del dosso di quota 546, fino a Capo d’Acqua, continuando verso il basso, fino all’incrocio tra la strada proveniente da Aquino e la Via
Casilina.
I lavori difensivi sulle pendici delle quota 553, attorno e nell’abitato di Piedimonte, che si trova ad una quota media di circa 210
metri, erano analoghi a quelli eseguiti nella zona Colle S. Angelo-Abbazia: postazioni in barbetta e in caverna, ricoveri in caverna,
largo impiego di mine antiuomo.
Più a valle, dove termina il terreno roccioso e piccoli dossi di terreno alluvionale dominano la zona pianeggiante, erano state poste
numerose armi automatiche e pezzi controcarro, che dominavano l’antistante zona verso la Via Casilina.
Alcune delle postazioni per armi automatiche erano del tipo a casamatta d’acciaio quasi completamente interrata, mentre i ricoveri
erano costituiti da elementi d’acciaio riuniti e sistemati in scavi che li defilavano alla vista ed al tiro. Tre delle postazioni per
pezzi anticarro erano torrette di carri “Pantera” con relativo cannone, sistemate su un’installazione fissa d’acciaio a forma di
cassone, quasi completamente interrata. [12]
L’insieme delle postazioni fisse era difeso da numerose mine anticarro a pressione e da mine antiuomo, a strappo o a pressione, sparse
pressoché ovunque.
Nella stessa Piedimonte, già fortemente lesionata dai bombardamenti alleati, erano state predisposte postazioni per mitragliatrici
nelle case lungo il perimetro del paese, chiuso da un possente muraglione, ed erano stati ricavati dei ricoveri nelle cantine; inoltre
erano stati minati almeno quattro settori della strada che contorna il paese.
Tutto il complesso di difesa era stato accuratamente mascherato.
Il problema per i Tedeschi non era certamente il terreno, perfettamente scelto e preparato, ma come presidiarlo. I reparti della 1a
divisione paracadutisti erano ormai provatissimi e nella giornata del 19 i comandi ebbero il loro da fare nel riorganizzarli, con quel
poco che restava di uomini validi. Il comando del LI Corpo da montagna fece affluire a Piedimonte una compagnia del 132° reggimento
della 44a divisione di fanteria, proveniente dalla zona di Terelle, mentre le armi controcarro, comprese le torrette dei “Pantera”,
erano manovrate da paracadutisti della 2a compagnia del Panzerjäger-Abteilung 1. Più a Nord, alla quota 553, la difesa era
affidata ad una compagnia del Hochgebirgsjäger-Bataillon 4, che si collegava alle posizioni di Pizzo Corno.
Il gruppo da combattimento “Bob” - 19 maggio 1944
Il 6° reggimento durante la battaglia di Montecassino si trovava nelle retrovie, tra Venafro ed il paese di Cioriano. Il comando
ricevette l’ordine di mettersi in movimento verso San Vittore, dove il reggimento arrivò alle 16.45 del 19. Poco dopo le 23, il tenente
colonnello Swietlicki fu chiamato dal generale Rakowski, comandante della 2ª brigata corazzata, e ci fu una riunione, terminata alle
2.00 del 20 maggio, nella quale fu messa a punto l’operazione,
Dopo il suo ritorno al reggimento, il tenente colonnello convocò i comandanti degli squadroni e comunicò come data probabile per
l’attacco a Piedimonte quella del 21 maggio, dando però l’ordine di portarsi immediatamente ad 1 km. ad Est di Cassino.
Durante la marcia il tenente colonnello Swietlicki ricevette l’ordine di concentrare il reggimento nei pressi del monastero di Santa Scolastica, ai piedi del monte dell’Abbazia, dove la colonna giunse verso le 10 del 20 maggio. I reparti si mossero di notte tra mille difficoltà dovute all’impossibilità di attraversare le rovine della città ed all’intasamento delle strade, tanto che l’itinerario fu continuamente cambiato lungo vie secondarie a causa dell’ammassarsi nelle vie principali di mezzi corazzati e veicoli di tutti i generi. [13]
Il piano di attacco, velocemente elaborato, prevedeva innanzi tutto che l’operazione sarebbe stata posta agli ordini del tenente colonnello Wladyslaw Bobinski, vice comandante della 2a brigata corazzata, che assunse il comando di quello che fu chiamato “Gruppo Bob”.
Il primo attacco: 20 maggio 1944
La presenza dei Polacchi attorno al monastero di Santa Scolastica certamente non sfuggì agli osservatori tedeschi, ma il mattino del 20
l’artiglieria germanica, già schierata sulle nuove posizioni dietro alla Linea Senger, nel settore mantenne il più assoluto silenzio.
Questo fatto fu interpretato dal tenente colonnello Bobinski come se i Tedeschi avessero abbandonato la zona e probabilmente questa
spiegazione fu involontariamente avvalorata dalle informazioni pervenute dalla 21a brigata indiana, che non aveva trovato ostacoli
nella sua avanzata fino alla località di Pralomagno, al bivio della strada per Piedimonte. [15]
Fu quindi deciso di attaccare decisamente gli obbiettivi stabiliti, senza attendere che fossero resi disponibili i rinforzi di
artiglieria e senza attendere che fosse completata la rete di comunicazioni. [16]
Alle 15 aprirono il fuoco le sole batterie del 9° reggimento già presenti vicino a Santa Scolastica, alle quali si unirono i pezzi dei
carri, che consumarono così preziose munizioni; dopo un solo quarto d’ora, i due squadroni presero ad avanzare, divisi per plotoni.
Alla stessa ora si mossero in avanti tre compagnie del Royal West Kent Regiment, che puntarono verso le due postazioni nemiche a
Nord della Via Casilina, ma in quel momento si scatenò un improvviso e violentissimo bombardamento dell’artiglieria tedesca, che prese
di mira sia i carri che stavano avanzando, sia la fanteria inglese allo scoperto.
Più a Nord, il già scarso battaglione di formazione fu diviso in due gruppi: uno, più numeroso, puntò verso il paese, il secondo verso
la quota 553.
Nonostante il nutrito tiro di sbarramento dell’artiglieria avversaria, il II squadrone, al comando del capitano Stanislaw Ezman, avanzò
parallelamente alla Casilina verso il primo obbiettivo, la quota 107, per poi impadronirsi del terreno a Sud di Fontana Coperta; il I
squadrone, agli ordini del tenente Adolf Jadwisiak, avanzò sul lato destro del II, puntando anch’esso verso il rettilineo della strada
per Piedimonte per poi superarlo ed aggirare il paese da Sud-Ovest. I Tank Destroyers del 7° reggimento artiglieria controcarro
avanzarono sull’ala destra del I squadrone con il compito di distruggere le postazioni fisse. [17]
Alle 16,30 il capitano Ezman comunicò di essere arrivato all’altezza dell’incrocio della strada di Piedimonte e di trovarsi in una
posizione particolarmente pericolosa e sfavorevole.
Infatti la fanteria inglese, che aveva subito ingenti perdite, si era fermata; i Kentish, dopo aver perso tutti gli ufficiali di
una delle tre compagnie, ricevettero l’ordine dal proprio comando di retrocedere e trovare dei ripari. [18]
Non esistendo nessuna comunicazione diretta fra il II squadrone ed il battaglione inglese, il capitano Ezman trasmise al reggimento che
non poteva più a lungo sostare sulle posizioni raggiunte a causa del sempre più preciso fuoco dell’artiglieria tedesca, decidendo,
d’accordo con il tenente colonnello Bobinski, di avanzare ancora, senza attendere la fanteria inglese.
Il comando fu assunto dal tenente Masztak che ordinò agli equipaggi superstiti di defilarsi dietro il dosso del rettilineo e di
continuare a sparare contro le posizioni nemiche; pervenne l’ordine di sostare sulle posizioni raggiunte, mantenendo il controllo della
zona, mentre ad un plotone fu richiesto di avanzare lungo la Casilina per raggiungere i bordi dell’aeroporto di Aquino al fine di
verificare fin dove si fossero spinti gli Inglesi della 78a divisione. Ma appena il primo carro si mosse in avanti fu colpito e
distrutto, e l’ordine fu ritirato.
Il I squadrone aveva raggiunto la quota 115 senza particolari intoppi, fermandosi fino alle 17.30, in attesa dello sviluppo dell’azione
del II. Il tenente Jadwisiak ricevette allora l’ordine di far avanzare il 3° plotone attraverso i campi verso Piedimonte, in appoggio
alla fanteria, mentre due plotoni dovevano risalire la strada verso il paese.
Mentre il 3° plotone avanzava lentamente lungo i pendii, gli altri due dovettero constatare che la manovra era impossibile a causa
delle demolizioni provocate dai tedeschi; dovettero tornare indietro ed uno dei carri si rovesciò lungo la scarpata.
I Tank Destroyers erano invece quasi subito riusciti a distruggere la prima torretta di “Pantera” ed alcune delle postazioni
fisse. Vedendosi arrivare addosso anche i carri del 3° plotone, i difensori si arresero in piccoli gruppi. [19]
Più a Nord, il primo gruppo di fanteria, partito dalla quota 392, non riuscì a sorprendere le difese tedesche della quota 553; il
secondo, partito dalla quota 264, riuscì invece a raggiungere la scarpata davanti al paese, ma entrambi urtarono su posizioni che si
rivelarono assai più robuste del previsto e l’attacco venne sospeso all’imbrunire.
Nel tardo pomeriggio giunse a Santa Scolastica uno squadrone di formazione del 12° reggimento Ulani di Podolia: 137 uomini a bordo di
31 Bren Carrier e 5 mezzi semicingolati. Furono subito fatti avanzare e scesi dai mezzi, verso le 19, partirono all’assalto,
guidati personalmente dal tenente colonnello Bobinski. In pochissimo tempo, travolte le deboli resistenze tedesche ancora rimaste sul
campo, riuscirono a raggiungere le mura esterne del paese, ma a causa del buio imminente, dovettero fermarsi davanti alle rovine delle
prime case.
Al tramonto anche i fanti del Royal West Kent presero i loro obbiettivi, catturando 33 prigionieri, tutti appartenenti al 132°
reggimento di fanteria [20], ma l’operazione fu sospesa perché i carri, ormai senza carburante e senza munizioni, furono fatti
indietreggiare fino alla località Case Cavacece, al bivio fra la Via Casilina e la strada che sale a Villa Santa Lucia, per i
rifornimenti necessari. La manovra, compiuta nell’oscurità, non provocò altre perdite, ma durò fino alle 4 del mattino.
Nella notte i Tedeschi approfittarono della relativa calma che era sopravvenuta nel paese per farvi affluire dei rinforzi. Posto agli
ordini del tenente Böhlein, occupò le posizioni un gruppo da combattimento composto dai resti del I battaglione, della 14a compagnia
controcarro e di un plotone del battaglione pionieri del 4° reggimento paracadutisti, al quale si aggiunsero elementi del comando
della 1a divisione paracadutisti ed un plotone del Hochgebirgsjäger-Bataillon 4, per una forza di circa 250 uomini. [21]
Il secondo attacco: 21 maggio 1944
Se il comando polacco si era reso cosciente dell’entità delle difese tedesche, era comunque dell’opinione che i difensori non avrebbero
potuto resistere ad un ulteriore colpo di maglio, ma, alle 6 del mattino del 21, l’artiglieria nemica rientrò in azione. Questa volta
si accanì contro gli accampamenti polacchi attorno a Santa Scolastica e tra le 6 e le 7 essi furono sconvolti da un micidiale
bombardamento. Lo stesso tenente colonnello Swietlicki fu gravemente ferito e fu sostituito dal maggiore Motika. Ovviamente si creò una
gran confusione, ma se i danni materiali furono gravi, le perdite umane furono incredibilmente contenute.
Mentre i Polacchi subivano questo pesante ed improvviso bombardamento, i Tedeschi cercarono di sloggiare gli Inglesi dalle loro
posizioni, tentando di prenderli alle spalle. La manovra fu respinta, ma i Kentish rimasero rintanati per tutto il resto del
giorno sotto un violento fuoco di artiglieria e mortai. [22]
Nonostante tutto questo pandemonio, fu elaborato un nuovo piano.
Verso le 16, due carri e gli Ulani riuscirono ad entrare in Piedimonte, trovandovi un’accanita resistenza da parte dei paracadutisti
tedeschi, dotati anche di armi portatili controcarro. Gli Sherman continuavano a sparare, ma era impossibile qualsiasi movimento a
causa dei cumuli di macerie.
I due carri rimasero immobilizzati e da quel momento non poterono aiutare gli Ulani se non con il fuoco delle mitragliatrici. Altri tre
erano caduti nei crateri, lungo la salita; tre erano rimasti immobili, a causa di danni di varia natura, all’altezza dell’ultima curva
a gomito verso il paese.
Verso le 17 anche i fanti del XVIII battaglione riuscirono ad entrare nel paese, occupando la chiesa e due strade che portavano alla
piazza principale, ma non fu possibile procedere oltre, sia per il fuoco dei paracadutisti tedeschi sia perché i carri superstiti erano
ormai immobili.
Al calare della sera, i carri del III squadrone si fermarono su una posizione molto avanzata. La caduta di tutte le postazioni tedesche
ad Ovest del paese, fra la Via Casilina ed i pendii più prossimi a Piedimonte, consentì ai genieri di aprire larghi passaggi nei campi
minati e di far affluire i necessari rifornimenti di munizioni e carburante.
Nella notte fra il 21 ed il 22, i paracadutisti tedeschi cercarono di distruggere i due carri rimasti “incastrati” tra le rovine delle
case e gli equipaggi dovettero difendersi a colpi di mitra, mentre gli Ulani dovettero impegnarsi in defatiganti e continue sparatorie
per parare i tentativi di infiltrazione.
I resti del XVIII battaglione, completamente esausti, furono ritirati e sostituiti dalle tre scarne compagnie del V battaglione della
3a divisione dei Carpazi.
22 maggio 1944
Il mattino del 22 lo schieramento polacco era il seguente: all’entrata orientale del paese aveva preso posizione una compagnia del V battaglione; alla sua sinistra erano in attesa gli Ulani del 12° reggimento, appoggiati dal III squadrone carri; un’altra compagnia del V battaglione manteneva il contatto con il nemico sulla quota 553; il comando ed il resto del V battaglione alla quota 244 a Sud di Villa Santa Lucia; verso Villa Santa Lucia i resti del XVIII battaglione. Il comando, il I ed il II squadrone del 6° reggimento erano in attesa all’altezza di Case Cavacece. [23]
Il tenente colonnello Bobinski era ancora convinto che dopo due giorni di combattimenti pressoché continui, i Tedeschi fossero
sufficientemente scossi e pensò che fosse possibile prendere finalmente il paese; decise quindi di rinnovare l’offensiva. Da Ovest
dovevano avanzare il V battaglione ed il 12° Ulani, appoggiati dal III squadrone e da un gruppo del I, mentre alcuni plotoni del II
dovevano aggirare il paese da Sud; una compagnia del V battaglione doveva attaccare la quota 553.
Quando tutto sembrò pronto, entrò in azione l’artiglieria tedesca che si accanì contro l’avvallamento verso Santa Lucia. Furono uccisi
tre fanti e 15 furono feriti, tutti del XVIII battaglione, che stava ritirandosi. Fu però anche colpita e distrutta la radio del
battaglione, essenziale per i collegamenti tra le batterie ed il comando del “Gruppo Bob”.
Il maggiore Tarkowski, al comando del V battaglione, al quale era stato affidato l’attacco, si trovò così isolato, senza aver avuto il
tempo di far riconoscere il terreno; propose di sospendere l’operazione, ma il tenente colonnello Bobinski non ne volle sentir parlare,
anzi l’ordine fu confermato alle 13.37 ed i carri presero ad avanzare, mentre le batterie del 9° reggimento d’artiglieria aprirono il
fuoco, ma, essendo senza contatto radio, lo tennero lungo nel timore di colpire i fanti.
La 2a compagnia del V battaglione ed una parte degli Ulani iniziarono ad avanzare verso le mura ed un plotone riuscì a penetrare
nell’abitato; un secondo catturò due bunker nemici ed un terzo avanzò verso l’area più meridionale di Piedimonte.
Il maggiore Tarkowski, in piedi, allo scoperto, cercò di guidare i carri del capitano Kuczuk-Pilecki: venne colpito alla testa da un
solo colpo di fucile, morendo all’istante, vittima di un cecchino. [24]
Uno dopo l’altro i carri dovettero fermarsi e divennero un facile obbiettivo per l’artiglieria tedesca, che riprese ad intervenire con
grande vigore. La lotta si frazionò in piccole azioni di singoli gruppi ed alcuni elementi riuscirono ad arrivare quasi fino al centro
di Piedimonte, ma ne furono ricacciati dai paracadutisti.
I carri si impegnarono in una serie di tentativi furibondi, riuscendo ad aprirsi un varco lungo le due ultime curve a gomito, dove
rimasero praticamente intrappolati a causa delle mine. Lo stesso capitano Kuczuk-Pilecki dovette abbandonare il proprio mezzo, ormai
immobile.
Intanto i carri del II squadrone che avevano di nuovo cercato di superare il rettilineo, si ritrovarono sotto il fuoco degli anticarro
tedeschi. Due colpi centrarono la torretta di un carro ed un altro venne danneggiato. Il tenente Masztak ordinò di ritirarsi, ma
dovettero subire un attacco di paracadutisti tedeschi armati di panzerfaust e bombe a mano. In loro soccorso fu fatto
intervenire un gruppo del I squadrone del tenente Jadwisiak, che perse un carro. La zona venne coperta con fumogeni e gli equipaggi
superstiti riuscirono a salvarsi. [25]
Al calare della notte ci fu un deciso contrattacco tedesco ed un plotone polacco rimase accerchiato all’interno della chiesa,
difendendosi accanitamente fin quasi al sorgere del sole, quando riuscì a disimpegnarsi ed a raggiungere il resto della compagnia. [26]
Verso le 23, i carri superstiti dovettero indietreggiare.
Nel frattempo, il generale Anders, vedendo che i tentativi di prendere Piedimonte non avevano dato i risultati attesi e non volendo
rischiare perdite troppo elevate, decise di limitare le attività del “Gruppo “Bob” al controllo del terreno ed al mantenimento delle
posizioni raggiunte.
Nel corso della giornata il comandante del 2° Corpo assumeva direttamente il comando delle operazioni, modificando gli ordini con le
parole eseguire delle azioni di disturbo al posto di catturare.
Mantenere un continuo contatto con il nemico, garantendo il possesso della località di Villa Santa Lucia; cercare le condizioni per sferrare un nuovo attacco contro Piedimonte e Pizzo Corno; nel caso in cui il nemico si fosse ritirato, inseguirlo verso Castrocielo. [27]
23 Maggio 1944
All’alba del 23 maggio, la situazione strategica dell’intero fronte cambiò notevolmente, quando le truppe alleate passarono decisamente
all’offensiva dalla testa di ponte di Anzio.
Alle 6 del mattino, la 1a divisione di fanteria canadese era inoltre partita all’attacco su un fronte di due chilometri fra Pontecorvo
ed Aquino e a mezzogiorno, malgrado le terribili perdite, i Canadesi avevano raggiunto la strada fra Pontecorvo ed Aquino, superando di
fatto la Linea Senger.
Più a Sud gli Americani dell’85a divisione di fanteria riuscivano ad aver ragione degli ultimi difensori di Terracina, puntando
decisamente verso Anzio, mentre l’88a divisione di fanteria entrava in Roccasecca dei Volsci, facilitando in modo sostanziale
l’avanzata del Corpo francese, in quel momento indirizzata verso Ceprano per tagliare ogni via di ritirata alle truppe tedesche nella
Valle del Liri.
Alle 9 del mattino di quella giornata, il capitano Kuczuk-Pilecki decise - probabilmente di propria iniziativa - di tentare ancora una
volta, risalendo l’ultimo tratto di strada.
Preso posto sul carro del sottotenente Kromp, alla testa della colonna dei carri superstiti del III squadrone, avanzò per primo,
seguito dal carro del maresciallo Wasjak. Quest’ultimo, a non più di 200 metri dall’ingresso del paese, venne affrontato da un
paracadutista tedesco che, prima di essere ucciso, riuscì a tirare una bomba controcarro, che colpì il mezzo ad un cingolo che si
srotolò, immobilizzandolo e bloccando così la carreggiata, l’unico passaggio disponibile.
Il capitano chiamò per radio un altro equipaggio, chiedendo di trainare il carro danneggiato, ma la manovra fu resa impossibile dal
tiro avversario. Allora ordinò agli altri carri di retrocedere e cercare un’altra via, ma l’artiglieria tedesca intervenne sparando
granate incendiarie, obbligando i carristi a chiudersi dentro i loro mezzi e rendendo così le manovre molto difficoltose.
Il capitano Kuzcuk ed il suo equipaggio, con l’aiuto di granate fumogene, riuscirono a lasciare il loro mezzo ormai troppo esposto e
che, retrocedendo, era finito pericolosamente in bilico sul bordo della strada; in quel momento l’altro carro che aveva tentato di
trainare il mezzo danneggiato, rotolò giù nella scarpata.
I membri degli altri due equipaggi si precipitarono lungo la ripida discesa per soccorrere i malcapitati, ma una granata esplose
proprio in mezzo al gruppo. Quando il fumo si diradò il corpo del capitano Kuczuk-Pilecki giaceva a terra immobile, sfigurato dalle
schegge; di fianco, il carrista Maczenauer, gravemente ferito, moriva pochi minuti dopo. [28]
Alla sera di quel 23 maggio, agli osservatori tedeschi di Monte Cairo, che i Polacchi chiamavano Polifemo, appariva la visione di ben 12 carri armati fermi ed ammassati lungo l’ultimo tratto della strada. Alcuni erano stati irrimediabilmente distrutti dai colpi d’artiglieria o dalle mine; altri, apparentemente intatti, erano danneggiati in modo tale da non poter più essere utilizzati, altri ancora apparivano rovesciati o inclinati lungo le scarpate o nei crateri delle bombe. Altri sei, anch’essi immobili, erano visibili più in basso, nei campi lungo i pendii che salgono al paese da Sud-Est. [29]
Nella notte i Tedeschi eseguirono improvvise puntate su diverse direttrici, dalla quota 553, da Piedimonte e da Fontana Coperta, ma furono respinti dal fuoco concentrato dei carri e dell’artiglieria.
24 maggio 1944
Con una tenacia degna di miglior sorte, i Polacchi tentarono ancora una volta di superare le difese tedesche, Verso mezzogiorno, dieci
carri Sherman ed un plotone di fanteria montato su Bren Carrier cercarono di aggirare il paese verso Nord-Ovest: una missione
che si rivelò subito impossibile a causa del terreno e della pronta reazione tedesca.
Alla sera veniva ritirato anche il V battaglione, sostituito con il XIII ed il XV battaglione della 5a divisione Kresowa, ma nella
notte furono captati diversi messaggi dei comandi tedeschi dai quali si comprese che era imminente una loro ritirata. [30]
In effetti il comando della X Armata emanava gli ordini per lo sgombero totale della Linea Senger, ormai travolta per quasi tutta la
sua lunghezza, e per la formazione di una nuova linea di resistenza dalla confluenza tra il Liri ed il torrente Melfa, a Roccasecca ed
a Sud di Colle Magno. [31]
L’ordine coinvolgeva i reparti della 1a divisione paracadutisti, che nella notte si eclissarono, e la compagnia del Hochgebirgsjäger Bataillon 4,
che abbandonò la quota 553.
25 maggio 1944
All’alba il XIII battaglione avanzava verso la quota contesa, trovandovi una scarsa difesa e catturando un certo numero di prigionieri, mentre le prime pattuglie polacche entravano nel paese ormai vuoto e completamente distrutto.
Il tenente colonnello Bobinski organizzò in fretta un gruppo da combattimento con uno squadrone di Sherman ed un plotone di fanteria montato su Bren-Carrier per inseguire i Tedeschi in ritirata verso il torrente Melfa, ma ogni tentativo fu frustrato dalla presenza di campi minati.
Le perdite del “Gruppo Bob” nei quattro giorni di combattimenti furono in totale di circa 50 caduti. Il 6° reggimento corazzato subì la
perdita di 20 caduti (3 ufficiali) e 56 feriti (11 ufficiali).
Dei caduti ben tre ufficiali erano comandanti di squadrone o di battaglione: il capitano Stanislaw Ezman, comandante del II squadrone,
caduto il 20 maggio; il maggiore Ludomir Tarkowski, comandante del V battaglione fucilieri, caduto il 22 maggio; il capitano Alfred
Kuzcuk-Pilecki, comandante del III squadrone, caduto il 23 maggio.
Molto gravi furono le perdite in materiali con ben 11 carri Sherman distrutti e 17 danneggiati, pari a più del 50 per cento di quelli
utilizzati nel corso della battaglia, senza contare quelli rimasti immobili nei crateri delle bombe o lungo le scarpate. La maggior
parte, quasi tutti del III squadrone, andò persa negli inutili tentativi di entrare nell’abitato. [32]
Potrà sembrare incredibile, ma, quando alla mattina del 25 maggio, i soldati polacchi entrarono nel paese, si trovarono di fronte ad un gruppo di civili, sopravvissuti ai bombardamenti, alla fame ed alla sete. Essi avevano sfidato per mesi l’ordine tedesco di lasciare le case e si erano nascosti al buio nel più profondo delle cantine o nelle grotte. Usciti alla luce del sole, peraltro immediatamente soccorsi dai soldati polacchi, rimasero impietriti quando ai loro occhi si presentò la vista dei grandi cumuli di macerie, in alcuni casi addirittura sbriciolate dall’intensità dei colpi d’artiglieria: era quello che restava delle loro case e del loro paese... . [33]
Ringraziamenti
Si ringraziano Daniele Guglielmi per le preziose informazioni fornite; la professoressa Krystyna Jaworska per la documentazione bibliografica; la baronessa Wanda Rommer Sartorio per le traduzioni dalla lingua polacca; l’avvocato Roberto Molle per la ricognizione sul terreno, il dottor Costantino Jadecola per la consueta e calorosa assistenza, il dottor Andrea De Santis per alcune delle fotografie.
Note
Bibliografia
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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13/03/2006 | richieste: 9720 | ROBERTO MOLLE
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