15 MARZO 1944: LA DEVASTAZIONE DI VENAFRO
Nel filmato "Montecassino", di Marina Basile con consulenza storica di Giovanni Sabbatucci, trasmesso l’anno scorso (2006 ndr) su RAI TRE, rileviamo un’attenta ricostruzione degli eventi che portarono alla distruzione della città di Cassino e a quella completa del Monastero.
Un particolare, però, appare tralasciato circa il bombardamento del 15 marzo 1944: il tragico errore che coinvolse la cittadina di Venafro. È vero che esso viene riportato nei testi di storia, ma in genere è trascritto con scarso rilievo.
È opportuno ricordare che agli inizi del mese di febbraio 1944 i Francesi acquartierati in vari centri intorno al territorio di S. Elia Fiumerapido, all’ala destra della linea Gustav, avevano ben compreso che la battaglia si sarebbe protratta ancora lungamente; per questo motivo cominciarono a far capire alle popolazioni che avrebbero dovuto lasciare le loro case. L’invito si trasformò in ordine perentorio dopo la distruzione dell’Abbazia il 15 febbraio ed esse dovettero eseguirlo.
Furono allontanate tutte le famiglie dai ricoveri dei monti e delle campagne a nord di Cassino e trasferite a Venafro.
Molti civili, approfittando dello scarso controllo del centro di smistamento di S. Chiara di questa città, dove confluivano, non
volendo allontanarsi troppo dalle terre di origine, con la comprensione e complicità delle guardie civili, fuggivano di notte e
riuscivano a trovare provvisorio rifugio in case di fortuna, in tuguri, in cantine ed anche in stalle o in masserie lontane.
Durante la terza battaglia, l’operazione Dickens, che durò una settimana, ci fu un nuovo attacco frontale a Cassino e da
nord al Monastero. Lo stesso Clark ebbe a dichiarare che il piano non aveva grandi probabilità di riuscita e Juin invano andava
ripetendo che insistere in una tale lotta significava inseguire una illusione pericolosa. [1]
Il 15 marzo un bombardamento a tappeto e il fuoco contemporaneo dell’artiglieria completarono la distruzione della città e del
Monastero, mettendo fuori uso tutte le armi pesanti tedesche:
Purtroppo durante questo bombardamento ci fu il fatale e grossolano errore: verso le ore 9,30 una formazione di fortezze
volanti scambiò monte Santa Croce sotto cui è arroccata la città di Venafro, per Montecassino e Cassino e lanciò il suo carico
micidiale di bombe; una seconda, vedendo il fumo e ritenendo che quello fosse il bersaglio, ne seguì l’esempio; e così altre
ancora per non meno di mezz’ora. [6]
Fu una scena apocalittica: venne colpita la zona nord della cittadina, «quella che da Portanova va verso l’antica cattedrale e si
adagia sulle pendici del monte, tra gli orti verdeggianti e gli agili campanili delle Chiese di Cristo e dell’Annunziata, Chiese
che custodivano le memorie più care del popolo venafrano». [7]
Gli aerei colpirono "un ospedale militare marocchino uccidendo o ferendo quaranta soldati. Quarantaquattro vittime vi furono fra le
artiglierie alleate. E... un grappolo di bombe colpì il Comando dell’8a Armata, sfasciando il carrozzone del Comandante: per
fortuna il generale Leese in quel momento non c’era. Per i soldati in attesa nelle zona vicina al bersaglio fu uno spettacolo
tanto pericoloso quanto impressionante". [8]
Il grave errore generò un senso di raccapriccio non tanto tra gli sfollati, abituati agli imprevedibili tradimenti aerei, quanto tra i soldati alleati [9], che non esitarono a puntare le loro armi inadatte contro i mostri del cielo. [10]
Continua Giovanni Atella:
"Rammentiamo il sinistro rombo dei quadrimotori che sorvolavano la nostra città e si allontanavano ad oriente, al di là delle montagne
in cui era Montecassino. Poi si udivano sordi boati, indicanti che gli aerei si erano liberati del loro carico di bombe.
Interminabili file di cadaveri, coperti pietosamente da lenzuola, si allineavano per le piazze e nei cortili dei palazzi... ». [11]
Le vittime [12] di cui abbiamo notizie documentate sono un centinaio, ma dovettero essere più numerose, considerando i paesi
disseminati lungo la linea aerea che univa Venafro a Cassino e specialmente nell’esercito anglo-americano; in verità di queste sono
stati fatti solo vaghi accenni, ma nessuno ha mai parlato apertamente del loro numero!
E dire che gli sfollati vennero sorpresi proprio lì dove non sentivano più il boato delle esplosioni e credevano di aver trovato
asilo sicuro; e che "dopo i bombardamenti di ferragosto del 1943 fu messa da parte la teoria dell’"Area-bombing" per dare il via ai
cosiddetti bombardamenti di precisione "selective-bombing", voluti dai generali U.S.A.A.F. (United States Army Air Forces)
Carl Spaatz, Ira Eaker e Jmmy Doolittle...". [13]
Riportiamo la testimonianza di un ufficiale dell’esercito del Corpo di Spedizione Francese in Italia, R. Derennes che allora si trovava proprio nella cittadina molisana e descrive gli avvenimenti come accaddero e ai quali fu presente anche chi scrive.
Io mi trovavo allora a Venafro, dove era l’alto Comando francese del generale Juin, piccolo villaggio arroccato
alla falda di un monte, assai simile a quello di Cassino, ma privo di due elementi essenziali: della strada per Roma e del
Monastero. Non era strano, dopo un po’ di tempo, sentire le formazioni aeree passare e tornare qualche minuto più tardi. Andavano
a bombardare a tappeto la montagna.
Ma, Dio mio, chi mai ci avrebbe predetto un simile accadimento quel giorno? Ciascuno attendeva secondo le abitudini alle sue
occupazioni. Al Quartier Generale di Artiglieria, comandato dal generale Chaillet, noi eravamo in agitazione febbrile: i pezzi da
155, in dotazione al mio reggimento, il R.A.C.L., comandato dal colonnello Mussonnier, con una gittata di 25 Km, dovevano prendere
parte nei dintorni delle alture di Sant’Elia Fiumerapido, all’operazione stabilita. Noi sapevamo in effetti che dalle otto a
mezzogiorno, ad ondate, milleduecento apparecchi dovevano bombardare Cassino e, nello stesso tempo, a noi e all’artiglieria
alleata spettava entrare in azione.
Sarebbe potuta essere una vittoria, ma non fu che una spaventosa rovina, una tragedia. La valle che si estende da Venafro a
Cassino, lunga una quindicina di chilometri, stava per diventare in queste quattro ore il luogo di una incredibile ecatombe.
Le bombe destinate ai Tedeschi caddero proprio su di noi; notate bene che esse piovvero su tutti, senza distinzione, bisogna
essere giusti, per prima sui Francesi alla destra, poi sulle artiglierie e sulla fanteria inglesi, neozelandesi, polacche e sugli
stessi Americani... Ne restarono poche per i nemici!
Le prime ondate, tra le quali quelle di numerose fortezze volanti, si sbagliarono e vuotarono i loro carichi su Venafro,
incendiando la cittadina; le altre, arrivando a distanza di un quarto d’ora, vedendo il fumo, ritenevano che quello fosse il
bersaglio e sganciavano altre bombe. Alcune ondate, però, si diressero ugualmente su Cassino in quanto senza dubbio i piloti
conoscevano bene il territorio. Ma perché, d’altra parte, ebbero bisogno di bombardare, di sommergere con i loro proiettili
devastanti tutta la valle del Liri, dove avevano preso posizione le stesse truppe alleate? Non lo sapemmo mai, perché occorreva
nascondere presto un simile scandalo. Il bombardamento cessò come previsto a mezzogiorno, ma poiché le truppe che dovevano passare
all’attacco erano state decimate, l’assalto non ebbe luogo.
Mi ricorderò sempre della collera del Maggiore inglese, ufficiale di collegamento presso il nostro Stato Maggiore: mostrava i pugni
agli aerei, muovendosi nervosamente dalla soglia della casa al centralino telefonico, di cui le unità inquiete si servivano
continuamente per cercare di avere dei ragguagli su ciò che stava accadendo, e soprattutto di sapere la ragione di questa
carneficina e se ci si preoccupava di fermare questa inverosimile svista. Il tenente americano era scomparso per la vergogna fin
dall’inizio, torcendosi le mani per la disperazione. Noi non potevamo che ripetere, con la profonda convinzione che ci dava la
nostra impotenza: «Ah, mascalzoni!». Gli Italiani, presi dal panico, scappavano sulle montagne, cercando un illusorio ricovero. Le
persone in difficoltà di muoversi, dimentiche dei vicini, si muovevano come impazzite, volendo fuggire all’inferno, riparandosi
sotto i portoni, dove sentire i ronzii che segnalavano l’arrivo di ondate successive, e scappavano di nuovo, come potevano, volendo
trovare una sorta di salvezza, la vita.
Certi sogghignavano: «Americani, Americani»! sì, Americani: e noi eravamo impotenti! Le formazioni arrivavano in ordine perfetto
e a rilevante altezza; ma quali erano le loro basi? La Sicilia, Malta, la Tunisia, l’Algeria, i dintorni di Napoli? Volteggiamenti
tragici, di cui noi pagavamo le conseguenze ed il cui organizzatore era per noi intoccabile: alcuni di questi aerei erano a molte
ore di volo dalle loro basi.
Non appena cadute le bombe, uscivamo dai nostri ricoveri, sapendo che avevamo una decina di minuti per le prossime. Ci affrettavamo
a soccorrere i feriti; all’ospedale di Venafro regnava il caos. Le case vecchie sprofondarono al suolo, come castelli di carta, in
nuvole di polvere accumulatasi negli anni e in mezzo alle fiamme.
Le formazioni spuntavano da lontano; si aspettava di vedere quando si separavano le squadriglie per precipitarci nelle cantine o
nei ricoveri; se gli aerei non sganciavano le bombe sopra di noi, sapevamo che esse erano destinate ad obiettivi molto più lontani.
Era pericoloso quando i portelloni si aprivano molto prima di giungere sulle nostre posizioni; le bombe si vedevano chiaramente
discendere. La nostra difesa contraerea era muta, non poteva sparare. Quale furore si era impadronito dei nostri artiglieri, dal
momento che non potevano dare loro una lezione! Avremmo potuto colpirli o almeno vedendo che tiravamo contro di loro, poteva
accadere che...! Ci nauseò di più vedere gli addetti del servizio cinematografico dell’Armata americana, appartenenti al nostro
C.E.F., filmare questa miseria, sollevando il sudario che nascondeva i morti, denigrando gli infelici che piangevano sui loro cari!
Con quale finalità di propaganda, se quella era stata una triste testimonianza di inettitudine? Dopo qualche tempo ci furono delle
decorazioni, che toccarono... e con quelle la dimenticanza». [14]
Dai Registri di Morte di Venafro
Totale n. 91 vittime.
Ringraziamenti
Per gentile concessione del Centro Documentazione Studi Cassinati onlus. Pubblicato da "STUDI CASSINATI", VI (2006), N. 4, pagg. 226-231.
Il testo originale in lingua francese: http://www.cassino2000.com:80/cdsc/studi/archivio/n21/n21p07.html
Note
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