OPERAZIONE MICHAEL – 12 FEBBRAIO 1944
Nei primi giorni del febbraio 1944 la prima battaglia di Cassino stava vivendo le sue fasi finali. Il piano del generale Mark W. Clark di sfondare con truppe americane a Cassino stava per tramontare; ma quello che era iniziato con una tragedia, l’attacco della 36a Divisione US "Texas" sul fiume Gari, si stava trasformando in un successo che sembrava essere a portata di mano.
La situazione
Il 135° Reggimento della 34a Divisione US “Red Bull” e il 142° Reggimento della 36ª Divisione US, erano riusciti a prendere l’importante e
dominante cima del Monte Castellone, da lì avevano occupato la "Cresta del Fantasma" e la "Testa del Serpente", arrivando sino al "Calvario" quota 593.
Dal basso, mentre il 133° Reggimento della 34a Divisione US cercava di penetrare nella città, elementi del 168° Reggimento erano arrivati dapprima a
quota 445 e poi fin sotto il Monastero, prendendo prigionieri degli osservatori di artiglieria nascosti nelle grotte sotto l’Abbazia.
Sembrava che il successo fosse a portata di mano, ma purtroppo sfumò. L’arrivo dei paracadutisti tedeschi del 3° Reggimento 1a Divisione, permise di
riconquistare e tenere la fondamentale quota 593, vanificando tutti i successivi attacchi verso il Monastero.
Lo slancio iniziale degli americani, che dimostrarono grande coraggio e determinazione, doti che gli altri alleati sino allora non gli riconoscevano,
si era peraltro spento; le truppe si trovarono a combattere in condizioni disastrose. Alle spaventose perdite di uomini, tra morti e feriti, si sommava
un terreno ripido, aspro e roccioso, che impediva di trincerarsi e di difendersi agevolmente, mentre i tedeschi martellavano di continuo le quote
occupate con l’artiglieria.
Il tempo era davvero inclemente con pioggia, vento, neve e gelo, molti soldati furono colpiti dal cosiddetto "male dello scarpone", ovvero i piedi
congelati. Anche l’equipaggiamento dei soldati faceva la sua parte: erano infatti dotati della uniforme "modello 41", praticamente un giubbino leggero,
inadatta ai rigori dell’inverno.
Le unità americane, esauste, vennero così sostituite dalle fresche e famose unità della 4a Divisione Indiana, che si era coperta di gloria in Africa.
Se l’obiettivo principale, "passare a Cassino", era sfumato, Clark, poteva comunque vantare un successo parziale ma importante: tutte le cime dietro l’Abbazia erano in mani alleate, esse costituivano delle ottime posizioni dalle quali partire per un attacco conclusivo contro la linea Gustav. Quindi i primi giorni di febbraio 1944 gli americani tenevano una larga porzione di territorio montuoso dietro l’Abbazia e soprattutto Monte Castellone, che dominava le altre quote dalla sua altezza di 771 metri.
Il pericolo
Il primo febbraio, il generale Ernst Gunther Baade, comandante della 90. Panzergrenadier-Division, assunse il controllo di questa zona del fronte e avvertì subito il pericolo che proveniva dal Monte Castellone: da quel punto gli alleati avrebbero potuto attaccare in direzione ovest verso Villa Santa Lucia, scendere nel largo canalone e arrivare alla Statale 6 Casilina, operando una manovra di accerchiamento di tutte le forze tedesche poste a difesa della città di Cassino e della collina del Monastero; un piano che, in verità, gli alleati non presero mai in considerazione!
Fu un ennesimo errore strategico alleato nella conduzione della battaglia. E’ sufficiente guardare una carta topografica della zona per
capire che un attacco in forze portato dal Monte Castellone verso la valle, da posizione dominante e quindi strategicamente favorevole, avrebbe potuto
determinare l’accerchiamento delle truppe tedesche e la fine dei combattimenti per Cassino, con esiti che si sarebbero ripercossi favorevolmente anche
sul proseguimento della Campagna d’Italia.
Tale possibilità, come detto, non venne mai presa in considerazione e gli alleati finirono di dissanguare le loro truppe multietniche, per altri
quattro mesi, sui costoni del monte dell’Abbazia, sulle montagne retrostanti e nella città di Cassino.
I tedeschi sentivano questo pericolo come reale e quindi il generale Baade, da fine stratega quale era, pensò che fosse necessario un attacco per
riconquistare il Monte Castellone; tale operazione venne denominata in codice "operazione Michael".
L’attacco venne fissato per il giorno 9 febbraio; la data venne però rimandata perché le unità di paracadutisti che dovevano essere utilizzate, erano
state dislocate in altri punti del fronte. La data venne nuovamente fissata per il giorno 12 febbraio.
Le unità in campo
Il piano prevedeva che il I./200°, comandato dal capitano Bottler, avrebbe assalito dal crinale ovest il Monte Castellone nella parte centrale; il
III./200°, del capitano Heyda, sempre dal lato ovest ma più a nord; infine il Hochgebirgsjäger-Bataillons 4 avrebbe mosso dalle posizione
di Colle S.Angelo in direzione di quota 706, fino ad arrivare, passando per il crinale, sul Monte Castellone.
Gli americani erano posizionati sui pendii retrostanti del Monte Castellone; verso il saliente montano deboli forze del 1/142°, su quota 706 il 3/143°,
infine il 2/141° era schierato da quota 706 e quota 465, a collegamento tra la "Cresta del Fantasma" e la "Testa del Serpente"; tutte unità della 36ª
Divisione US.
L’attacco
Alle 4:00 di sabato 12 febbraio le artiglierie tedesche, 109 tra cannoni e mortai a cui si aggiungevano 28 nebelwerfer, aprirono il fuoco sul
Castellone; il tiro durò sino alle ore 6.10. Subito dopo le truppe tedesche partirono all’attacco.
Dal posto di comando situato a Villa Santa Lucia il colonnello Heinrich Baron von Behr,
comandante del Panzergrenadier-Regiment 200, seguiva le fasi dell’attacco; in poco tempo i soldati tedeschi riuscirono ad arrivare sulla cima del monte.
L’artiglieria tedesca continuava a bersagliare con i suoi colpi la cima del Castellone, ora però occupata dai granatieri tedeschi; il capitano
Munsing si attaccò alla radio intimando di allungare il tiro di duecento metri, senza però ottenere alcun risultato. Dalle fila dei soldati tedeschi
venne sparato un razzo verde per segnalare la loro presenza e rinnovare la richiesta di allungamento del tiro; ma le granate tedesche continuavano a
mietere vittime tra i loro soldati. Il capitano Bottler, in testa al I./200°, urlava per radio che smettessero, stava perdendo troppi uomini.
Quando gli artiglieri cessarono il fuoco, risultarono colpiti dal "fuoco amico" oltre 100 soldati tedeschi, compresi due comandanti di compagnia. Poco
dopo gli americani, al riparo sul versante opposto del monte, non colpito dal fuoco di artiglieria tedesco, passarono al contrattacco; i tedeschi ora
venivano colpiti dal tiro di artiglieria americano.
Il capitano Dube ricorda che i suoi mortai sparavano ad alzo zero e che:
. i soldati tedeschi volavano in aria per poi cadere a pezzi.
In questa occasione vennero usate bombe al fosforo, che trasformavano i soldati in torce umane. Vi erano uomini che, in fiamme, precipitavano giù dalle rocce urlando che un colpo li finisse.
Sul versante sud del Castellone l’attacco del Hochgebirgsjäger-Bataillons 4 aveva avuto maggior successo; i suoi uomini erano infatti riusciti
a conquistare la quota 706, prendendo anche 31 prigionieri americani.
Nel diario dell’unità, intitolato "Dort wo der Adler haust" ("Dove abita l’aquila") scitto da Karl Schroeder, vi è una minuziosa descrizione dei
combattimenti, cruenti e sanguinosi, con ripetuti colpi di mano e contrattacchi da parte di entrambi gli schieramenti. Gli americani si erano
trincerati sulla roccia, creando trincee e piccoli bunker con i sassi e pietre, che vennero sistematicamente distrutti dai gebirgsjäger. La base di
partenza era Colle S.Angelo dove sul costone posto in vista della Valle del Liri, erano stati scavati ricoveri per i soldati e postazioni difensive.
Ma anche questo attacco, premiato nelle prime fasi da successo, dovette fermarsi quando arrivò l’ordine di ritirata per gli esausti granatieri del
Panzergrenadier-Regiment 200.
Il combattimento si era concluso, il fallimento dell’operazione Michael era evidente; molti erano stati gli errori da parte tedesca che avevano determinato l’insuccesso e le pesanti perdite:
La tregua
A questo punto colonnello Behr mandò il maggiore medico Wauer dagli americani sul Monte Castellone a chiedere una tregua di tre ore per poter
raccogliere i morti ed i feriti sul campo di battaglia; gli americani acconsentirono, era anche nel loro interesse.
La tregua iniziò alle ore 9.00 del 14 febbraio e funzionò senza intoppi; su richiesta tedesca venne allungata di altre due ore e trenta minuti, con
l’approvazione del generale Fred L. Walker.
Il tenente colonnello Hal Reese, dello stato maggiore della 36a Divisione US, si incontrò con alcuni soldati tedeschi sul costone ovest del Monte
Castellone. Di tale incontro, molto cordiale, testimoniato dalla famosa fotografia, vi è traccia nel diario del Hochgebirgsjäger-Bataillons 4 dove uno dei
tedeschi presenti ricorda:
... il 14 febbraio alle ore 12:10, all’altezza di quota 706, da lontano riuscii a riconoscere tre elmetti non nostri ma dei nostri nemici che mi venivano incontro, lasciai subito il mio nascondiglio e gli andai incontro; così vidi che il nemico non era armato; arrivato vicino mi accorsi che erano americani che sentii imprecare nella loro lingua e usavano diverse parolacce. Il primo era un colonnello e due maggiori e non erano neanche in divisa ma erano vestiti sportivi. Scuotendo la testa dicevano che la guerra era una disgrazia e senza ragione, il colonnello mi porse la sua carta da visita con il suo indirizzo, parlandomi in tedesco mi invitò ad andare in America a Philadelphia dopo la guerra.
Il colonnello Reese non sapeva che non avrebbe potuto onorare il suo invito: cadrà il 1 giugno 1944 alle porte di Velletri, a seguito dello scoppio di un proietto esploso da un carro Tigre. Si veda a questo scopo l'integrazione all'articolo.
Il diario riporta che l’ordine di non sparare arrivò alle ore 11,00 e che tutti i soldati rimasero stupiti e meravigliati; sentendo però che anche il
nemico aveva smesso di sparare, cominciarono con prudenza ad uscire dalla proprie postazioni e ad avanzare nella cosiddetta “terra di nessuno”,
andando incontro al nemico.
Durante la tregua gli opposti schieramenti poterono raccogliere i feriti ed i caduti; gli americani portarono i tedeschi sin nelle postazioni. Era un
momento nella quale la guerra era sospesa, i nemici si guardavano negli occhi, consapevoli di essere entrambi vittime di qualcosa che non potevano
controllare; accomunati nella vita e nella morte, dall’incertezza del futuro e dalle mille difficoltà di ogni giorno.
Dopo cinque ore e mezza, in cui la guerra si era fermata, lo scoppio di una granata segnò la fine della tregua.
La notizia arrivò a Berlino, il comando della Wehrmacht reclamò una spiegazione e dato che la tregua era stata chiesta agli americani dal colonnello
Behr senza informare in superiori, il generale Baade ne assunse tutta la responsabilità, dichiarando che la tregua era stata chiesta dagli americani
ma che era stata assai più utile ai tedeschi.
Non fu né il primo né l’ultimo episodio del genere avvenuto durante la battaglia di Cassino; molti inoltre furono gli episodi di cavalleria che sono stati raccontati dai soldati degli opposti schieramenti. Anche in questo i combattenti di Cassino si fecero onore.
Immagini
Note
Bibliografia
Integrazione del 10/10/2008
La morte del colonnello Hal Reese
I passaggi che seguono sono tratti da T.R. Fehrenbach, LA BATTAGLIA DI ANZIO - lo sbarco alleato che non liberò Roma, Milano, 1962, pagg. 313-325, e descrivono l'azione in cui venne ucciso il colonnello Hal Reese.
Alle 3 antimeridiane del primo giugno (1944 ndr), il capitano Willie Condett, addetto alle operazioni del primo battaglione,
141° fanteria (36ª divisione di fanteria americana ndr), si trovava al secondo piano della fattoria che serviva da posto di osservazione. Tutto intorno sibilavano colpi di mortai nemici. (...)
Ora l'attacco stava cambiando ritmo: a Velletri i tedeschi, presi alle spalle dai reggimenti gemelli del 141° (142° e 143° ndr), avevano compreso di essere accerchiati. ... Velletri
era stato un centro chiave delle comunicazioni nemiche e le unità in ritirata da altre zone si erano radunate proprio qui: ora erano tutti in trappola. (...)
Willie Condett, muovendo dalla strada alla periferia della città vide i tedeschi che si ritiravano; correvano di casa in casa e poi si lanciavano in corsa tra i campi. Accanto a
Willie camminavano il capitano Arn, comandante della compagnia armi pesanti, e il tenente colonnello Reese, ispettore generale di divisione. (...)
Benchè nessuno di loro se ne rendesse conto, tuttavia avevano superato la linea di avanzata del battaglione. In realtà l'ispettore generale (Reese ndr) non
era affatto tenuto a trovarsi al fronte, ma, come disse a Willie, aveva una gran voglia di prendere uno o due tedeschi. L'ispettore e il capitano
Arn avevano con sé la carabina e sparavano ai tedeschi che fuggivano correndo attraverso i campi (sigh! ndr). (...)
Ma improvvisamente, dietro una svolta della strada apparve un Mark VI con il solito suono terribile, agghiacciante. Il Tigre, seguendo la curva
con rimbombi e cigolii orribili, sporse il muso lungo e funesto del suo 88, mirando contro il piccolo gruppo di ufficiali che rimaserò lì, in piedi e
spauriti nel bel mezzo della strada. (...)
Il cannone del carro armato vomitò una fiamma di un verde giallastro e una scheggia colpì sibilando il tenente colonnello Hal Reeese, che cadde a terra
col ventre lacerato. Poi il Tigre aprì il fuoco con la mitragliatrice. (...)
Walker (generale, comandante della 36ª divisione di fanteria americana ndr) era ancora turbato dalla notizia della morte di Hal Reese: avevano combattuto
insieme nella prima guerra mondiale ed erano vecchi amici. Reese, pensava tra sé, rappresentava il tipo perfetto di soldato-borghese: un uomo di
mezza età, che aveva ripreso servizio nell'esercito non perchè vi era obbligato, ma soltanto perchè c'era bisogno di lui.
"Gli avevo detto di non allontanarsi troppo dalla compagnia", rimuginava tra sé.
Integrazione del 11/06/2012
Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.
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