4 PASSI SULLA GUSTAV 2009
Data: 18/05/2009Autore: VARICategorie: CronacheTag: #today, manifestazioni

4 PASSI SULLA GUSTAV 2009 (8ª edizione)


Interventi di:

4 PASSI SULLA GUSTAV
di Giuseppe Mindopi

Fin da giovane mi sono interessato sugli eventi che hanno coinvolto la zona di Cassino ed Anzio.
In particolare il mio interesse si è concentrato su Cassino e sulla lunga linea difensiva, la linea "Gustav", che i tedeschi realizzarono per ritardare e contenere il più lontano possibile gli alleati dalla Germania.

Fino a ieri ho visitato quei luoghi solo con l’immaginazione leggendo i molti libri scritti sull’argomento da vari autori e storici (Domenich Graham – Harold L. Bond – E.Grossetti e M.Matronola – M.Marzili e M.Lottici – Walter Nardini – Livio Cavallaio – Ass.Historia – Bruno D’Epiro – Mario Cangiani – Giuseppe Trulli e molti altri).

Ho cercato in qualche occasione di fare dei sopraluoghi, ma l’asperità del terreno e la scarsa conoscenza dei luoghi non mi hanno mai consentito di vedere da vicino ciò che solo una settimana fà mi è stato possibile, grazie alla iniziativa dell’avv.Roberto Molle, di visitare parte di quei luoghi, se pur ampiamente descritti dai succitati autori e storici, non danno l’idea della realtà.

Il 18-19 aprile si è tenuta l'VIII edizione di 4 PASSI SULLA GUSTAV; quando sono arrivato con la mia famiglia sul luogo dell’appuntamento, ho notato con piacere che numerose persone erano già lì puntualissime. Come prima impressione mi è sembrato, pur essendo la prima volta che partecipavo, di incontrare non persone estranee ma vecchi amici, quasi vecchi commilitoni, perché ognuno aveva da raccontare fatti, storie ed episodi con tanto entusiasmo, quasi fossero stati vissuti in prima persona.
Ma a farci sentire tutti vecchi amici è stata l’accoglienza dell’avv.Roberto Molle e dei suoi collaboratori, insomma diciamo che improvvisamente mi è sembrata una grande famiglia; con tutti si è stabilito un grande rapporto di amicizia.

Vorrei ringraziare tutti. In particolare un signore di Isola Liri, un altro signore che gentilmente ha sbucciato ed offerto una mela a mia moglie, un signore di Colle San Magno che mi ha dato indicazioni su come raggiungere Terelle attraverso una mulattiera che i tedeschi usarono per rifornire il fronte, ringrazio anche un signore che a cena mi ha letto un passo di un libro scritto in inglese sui fatti bellici che hanno interessato Artena, mio paese natio. Infine un sentito ringraziamento a Mauro Lottici.

Partecipare a questa VIII edizione del raduno è stata una esperienza bellissima.
Sabato mattina, pur con un tempo incerto, siamo partiti tutti con molto entusiasmo per raggiungere Vallemaio e proseguire su una strada bianca che si inerpica fino ad arrivare ad una piccola valle dove abbiamo parcheggiato le nostre auto. Da questo punto, zaino in spalla, abbiamo proseguito a piedi fino a raggiungere i monti Faito, Cerasola, Ornito e Maio dove, oltre che godere di panorami bellissimi (visibile il golfo di Gaeta e la valle del Liri), si sono potute vedere ancora le postazioni approntate dagli eserciti in lotta.

Mentre scalavamo questi monti, che videro il sacrificio di tanti giovani, abbiamo trovato ancora i segni di quella lotta, rappresentati dalle molte schegge e da ordigni bellici (trovata una bomba a mano, un proiettile di piccolo calibro e cartucce di fucile "Garant") che la natura ha mantenuto come segno di monito, conservati tra pietre di ogni forma e alberi.

Nonostante la lunga camminata eravamo tutti carichi di entusiasmo, anche perché si erano già fatte le 13.00 e l’appetito cominciava a farsi sentire.
Siamo scesi tutti in una valletta dove ci attendeva, come un "miraggio", la Land Rover di Roberto Molle carica di vettovaglie o meglio di un "abbondante rancio" costituito da: panini ripieni di ottimi affettati e formaggio, frutta , tarallucci, acqua e soprattutto da un buonissimo vino rosso e bianco che a quelle quote si degusta molto volentieri, specialmente con i tarallucci. Insomma il bravo Roberto ha pensato proprio a tutto perciò tutti in coro gli diciamo grazie.

Vorrei proseguire nel descrivere tutte le emozioni anche del giorno seguente, ma lascio anche agli altri partecipanti lo spazio per esprimere le loro impressioni ed emozioni.
Mi scuso se non ho potuto citare i nomi di quelle persone con le quali sono stato maggiormente in contatto, ma farei un torto agli altri il cui nome è quello di tutti "amico".


4 PASSI SULLA GUSTAV 2009
di Luigi Settimi

Sono passate poche settimane dall’evento atteso un anno, le foto ci fanno compagnia la sera ed i ricordi sono ancora vivi. Per me è la seconda volta che condivido con tutti voi queste giornate; lo spirito che mi anima è sempre lo stesso, mi piace ascoltarvi, rileggere qualche appunto preso nei vari libri e rimanere spesso per ultimo durante le salite per rielaborare dentro di me tutto quanto l’ambiente che mi circonda racconta. I racconti di Roberto, le storie di Mauro, gli articoli di Livio e di tutti gli altri presenti sul sito fanno il resto; una collina diventa "quella collina" un sentiero si copre di gloria ed una vallata diventa piena di ricordi come gli alberi di ulivo.
Alla fine di questo percorso, che dura due giorni, cerco di trasmettere, in un racconto immaginario, tutte le sensazioni che "4 Passi sulla Gustav" e tutti voi mi avete regalato.

La via della Morte

Mi chiamo Otto Gruber e sono uno dei migliaia di soldati germanici che hanno combattuto a Cassino. Avevo da poco compiuto 19 anni quando salutai i camerati nella caserma di Schio e salii sul camion con destinazione Cassino. Il viaggio fu interminabile, di notte, con continue soste; man mano che ci si avvicinava alla destinazione finale vedevo aumentare le colonne di mezzi dirette verso sud. Sembrava tutto così caotico, ma in realtà ognuno sapeva esattamente cosa fare. Sul camion chiesi ad altri soldati dove fosse Villa S.Lucia e nessuno seppe rispondermi. Arrivati a Roma, dopo una lunga fila per un pasto, fummo subito destinati alla prima autocolonna che partiva verso sud. Agli autisti prima di salire, mentre di notte ci aggiravamo in cerca del nostro camion, tra i fumi delle sigarette e dei motori, feci la stessa domanda, chiedendo dove fosse Villa S.Lucia, … mi risposero con una risata “all’inferno”. Di notte non riuscivo a capire quello che mi circondava, i dettagli che scorgevo dalle tenebre erano minimi, l’unica cosa che compresi e che portò un po’ di apprensione erano i bagliori che vedevo ogni tanto e che aumentavano man mano che ci avvicinavamo alla destinazione del nostro viaggio. A notte fonda facemmo una sosta improvvisa, ci dissero di saltare giù e correre verso il primo riparo, scivolai in una depressione del terreno, l’erba era stata da poco tagliata ed il profumo mi ricordava i campi in Germania al mattino presto, con la brina. Udimmo degli aerei e d’istinto guardammo in alto, erano tanti, si distinguevano a malapena, ma dal loro rumore ebbi la sensazione che fossero bombardieri; ci alzammo completamente bagnati e ritornammo sui camion che ripresero la loro marcia lenta. Arrivammo a Villa S.Lucia mentre albeggiava, era una mattina fredda e aveva ripreso a piovere, la nebbia correva fra le valli in basso rispetto alla nostra posizione ed era illuminata da continue luci grandi e piccole alle quali seguiva sempre il rumore dell’esplosione. I colpi non tardarono a cadere anche nella nostra porzione di fronte. Disceso dal camion presi le mie cose e mi diressi verso il comando a cui ero destinato, il movimento di tutti era frenetico ed ognuno sapeva dove andare, scorsi diverse uniformi; Alpini, Parà e rimasi impressionato dalla loro calma, il loro volti erano marcati dal chiaroscuro della loro barba incolta, le divise zuppe e infangate e le cinture piene di bombe a mano. Lungo la strada che mi divideva dal comando vidi in terra diversi corpi, coperti con teli mimetici, fu questa la prima vista della morte, non riuscii a distogliere lo sguardo da quegli scarponi infangati che a due a due uscivano dal telo e si lavavano con la pioggia divenuta battente. Entrai nel comando, salutai, ma nessuno si accorse di me, grandi mappe erano aperte sui tavoli, la lue era scarsa e dalle radio si udivano le voci dei soldati in prima linea. Dopo un breve saluto mi furono date le consegne; mi sarei occupato dei rifornimenti della compagnia e sarei dovuto entrare subito in azione. Raggiunsi il mio reparto sotto un diluvio di pioggia, alcuni soldati erano intenti a caricare viveri e munizioni dentro delle casse, intorno a me non vedevo mezzi e mi domandai come avremmo trasportato quelle casse, la vista successiva mi lasciò incredulo: muli! Arrivarono a gruppi di 4, erano completamente zuppi di pioggia ma non davano il minimo segno di insofferenza; vennero caricati delle casse e queste furono fissate con delle cinghie di cuoio; i soldati si prepararono per la partenza con ritmi e movimenti collaudati e ripetuti nel tempo, le armi, i caricatori, le bombe a mano, ad ogni movimento seguiva uno sguardo fisso a quella parte di montagna che li separava dalla prima linea. Provai ad avvicinarmi a qualcuno di loro per rendermi utile, i loro volti erano scavati e tesi, il rumore dell’acqua sui loro elmetti rompeva il silenzio di quegli istanti, mi guardarono e ci scambiammo un breve sorriso, uno di loro, coperto dalla mia vista da un mulo, mi chiese se ero il nuovo rimpiazzo, confermai, chiedendo quando sarei potuto entrare in azione anch’io; la risposta arrivò qualche secondo dopo: “appena trovano un nuovo mulo!” non capii e sorrisi come loro.. Ci salutammo e li vidi partire in fila e sparire per quella gola fra le montagne per poi riapparire dopo qualche minuto, figure chine che tenevano e trainavano quattro piccoli muli carichi all’inverosimile. Fui distratto dal richiamo di un superiore che mi volle al comando, i colpi cadevano sempre più intensi, era un continuo, alcuni dovevano essere di grosso calibro perchè tremava tutto. Mi furono date tutte le informazioni ed in particolare venni a sapere della necessità di rifornire al più presto i parà in una fattoria alla fine della gola, un posto comando avanzato ed infermeria che necessitava di tutto dopo uno scontro con i carri inglesi il giorno prima. Tornato nel mio rifugio avevo le idee più chiare ma non ero felice di quello che avevo sentito in giro, la battaglia non andava bene, il nemico era arrivato in prossimità del ciglio di quelle montagne che vedevo di fronte a me e che i nostri avevano perso e riconquistato più volte. Seppi anche che quel sentiero dove erano saliti i miei compagni di reparto era l’unica via di rifornimento per quei ragazzi lassù e se non riuscivamo a portare qualcosa ogni giorno sarebbero rimasti senza cibo e munizioni, seppi inoltre che quella via era chiamata “della morte” perché il nemico vi concentrava il tiro per tutto il giorno per impedirci di portare viveri e munizioni. Il giorno passò in fretta e per tutto il tempo il mio pensiero ed i miei sguardi erano rivolti a quella gola ed a quel sentiero da dove vedevo scendere e salire muli, soldati, barelle con feriti e cadaveri, che si andavano ad aggiungere a quella fila di scarpe che avevo visto accanto all’infermeria. Volevo evitare di passare davanti a quel luogo così triste ma sembrava che da ogni angolo di quel piccolo gruppo di case se ne vedesse una parte, era un monito, un avviso, una presenza macabra che mi riportava costantemente alla realtà, la Germania stava perdendo questo conflitto e stava portando con se, nell’oblio, tutta la sua gioventù che non sarebbe più tornata a casa. Ero combattuto tra la coscienza di questa immane tragedia, che imponeva di fermarsi ed il dovere di continuare, per quelli che erano caduti e per quelli che erano lassù a resistere e che avevano bisogno di me, anche se non li conoscevo. Nel buio di poche ore silenziose, che la notte mi regalò, decisi che dovevo aiutarli e dimenticare ogni cattivo pensiero. L’alba arrivò scandita dai nuovi scoppi, “tommy” si era alzato presto oggi, ed anche io avrei preso parte al conflitto, dovevo portare viveri, medicinali e munizioni in quella fattoria che da qui non vedevo ma che sapevo esserci al di là di quella gola. Iniziai a preparare le mie cose, la divisa, l’arma, le bombe a mano, man mano che aggiungevo oggetti il mio corpo pesava sempre di più, come la responsabilità che avevo preso su di me la sera prima, non era una grande impresa, non l’avrebbero mai raccontata, non avrei preso una croce di ferro per quello che stavo facendo, ero un fante anonimo, un elmetto in mezzo a migliaia, in una battaglia gigantesca e fra qualche minuto sarei stato da solo con il mio mulo, nemmeno un nobile cavallo, ma un mulo, che dovevo tirare per un sentiero nel più breve tempo possibile. Se fossi tornato avrei omesso questa parte della mia guerra nei racconti a mia madre e a mio padre, se fossi tornato… avrei inventato qualcosa.. ma ora sul piazzale c’era un animale meno nobile di un cavallo ad attendermi e nemmeno uno stalliere ad aiutarmi per salire in sella. L’animale guardava quella valle stretta, coperta a tratti dalle nubi, sembrava avvertirne il pericolo, mi avvicinai a lui e presi la corda, mi guardò ed inizio a muoversi prima ancora che la fune fosse tirata. Iniziammo così a salire per la via della morte, la strada all’inizio era comoda e disseminata di oggetti, pezzi di metallo, schegge, bende insanguinate; dopo qualche minuto iniziò a salire e si faceva fatica, sentivo il sudore correre, i panni zuppi dall’esterno e dall’interno, avevo caldo e freddo, avevo anche paura, ma non accadde nulla di particolare, c’era una strana calma e si sentiva solo il mio respiro, il cadere dei passi e di quelli dell’animale al seguito. Il sentiero divenne ben presto stretto, ogni tanto incontravo una pattuglia, dei barellieri con un soldato ferito o con uno che non respirava più, coperto da un telo. Erano brevi sguardi, brevi saluti, i loro occhi erano rossi dalla fatica e dal poco riposo, sguardo perso, si aggiravano come anime peccatrici nel girone dei dannati, immerse nella nebbia, coperte d’acqua e fango, un breve cenno con la mano, un movimento del capo per risposta ed ero di nuovo solo. Mi fermai per riprendere fiato ed osservai alla mia destra la valle che sapevo essere del Liri, la valle da cui ero arrivato, quello che colpiva da quella vista erano gli alberi bruciati, i monconi di una natura che stava sopportando da mesi un sacrificio immane, bevvi un po’ d’acqua e ripartii. Alla fine del primo tratto di salita vidi per la prima volta l’abbazia adagiata su uno sperone di roccia, era imponente, bellissima, le sue mura erano possenti e la posizione dominava tutto il campo di battaglia, rimasi qualche secondo ad ammirarla ma il dovere prese di nuovo il sopravvento e ripresi a salire, dovevo raggiungere al più presto la fattoria; ora camminavo lungo un sentiero allo scoperto che dava il fianco alla valle dove migliaia di uomini si stavano fronteggiando, il nemico era dietro quelle colline e mentre mi accingevo a far riposare per qualche minuto il mulo ragionai sul nemico, io non lo avevo mai visto di persona, avevo visto gli aerei, le bombe, ma il nemico, i suoi occhi, la sua voce, non li avevo ancora mai visti, per ora la sua presenza erano questi colpi di artiglieria e di suoi occhi erano la distanza fra i colpi e la mia persona, distanza che man mano si riduceva a giudicare dagli ultimi scoppi molto vicini; decisi di ripartire subito ed accelerare il passo. Giunto ad un pianoro mi trovai fra decine di alberi bruciati, il fumo era ancora denso, tanto che mi sembrava di entrarci dentro, pensai che le ultime granate erano probabilmente cadute qui, la poca luce si oscurò ed iniziai ad inciampare in vari oggetti, mi fermai per capire e fui sopraffatto da un odore che non avevo mai sentito prima, sembrava di carne bruciata, il ricordo proveniva dal profondo della mia infanzia, quando mia madre, intenta ad accudire gli animali, si dimenticava la carne sul fuoco e correva per evitare il peggio, ma ora era diverso, era più forte, dava fastidio, mi asciugai il sudore con una mano e cercai di avanzare, avevo paura di perdere l’orientamento, il fumo a tratti si diradava, qualche arbusto ancora bruciava e fu allora che mi accorsi di quello che era accaduto, c’era un corpo in terra, lo riconobbi per via della divisa, ma non aveva la forma umana, avvicinandomi mi accorsi con orrore che era un troncone, una granata lo aveva centrato in pieno, mi spostai dal terrore, lasciando l’animale che era al mio seguito, andando a cozzare contro una figura ancora più grande riversa a terra, era un mulo; di colpo ebbi la convinzione che quel tronco fosse di uno dei miei amici saliti la sera prima, ma non potevo riconoscerlo, non aveva la testa. Cercai di fuggire da quel punto e andai incontro ad altri corpi meno martoriati ed ebbi la conferma, dal volto di uno di loro, adagiato con le spalle ad una roccia, che si trattava dei miei amici; tutto intorno c’erano oggetti, gli stessi che avevo visto la sera prima sistemare con cura sulla sua divisa, giacevano sparsi, come l’elmetto, intriso di sangue, che presi fra le mie mani ed adagiai sul suo volto per coprirlo. L’odore di bruciato si stava unendo all’odore della morte e stava entrando nei miei polmoni e nella mia mente e non lo avrei dimenticato più. Ora ero solo nel dare aiuto ai soldati sulla collina, questa sera non sarebbe arrivato più nessuno a portare viveri e munizioni, il gesto eroico di questi soldati sarebbe stato preso dimenticato, la natura avrebbe decomposto tutto e fatto di nuovo spazio all’erba verde. Dai corpi dei muli saliva ancora del vapore, le cinghie e le casse erano vicine ai loro corpi; cercai il mio mulo, che avevo lasciato quando mi ero trovato di fronte il primo corpo, lo trovai fermo, nello stesso punto in cui lo avevo lasciato, accanto a quel tronco di uomo, forse il suo precedente padrone. Ci spostammo in fretta mentre il sibilo e lo scoppio di altri colpi di artiglieria si avvicinavano a noi. Coprii lo spazio di quel pianoro in pochi minuti, ero allo scoperto, gli alberi bruciati non offrivano nessun riparo e dovevo raggiungere alcune rocce che vedevo al mio orizzonte, da li sarei arrivato al pianoro ed alla fattoria, se ancora c’era qualcuno. Mancavano ormai poche decine di metri a quelle rocce che sentii intorno a me tremare tutto, fui gettato a terra dallo spostamento d’aria, le orecchie emettevano un unico rumore, la terra volava nel cielo e la respiravo nelle mia corsa forsennata verso quei ripari, non dovevo abbandonare il mulo e non dovevo perdere il carico, cadevo e mi rialzavo, a volte mi ritrovavo calpestato dallo stesso animale al seguito, non capivo più nulla, ero avvolto in un unico grande scoppio di granate, piovevano come la grandine, raggiunsi le rocce ma in un primo momento pensai che non fosse stata una grande idea, le granate scoppiando sulla pietra producevano una serie di schegge taglienti che si univano a quelle della granata stessa, fui colpito all’elmetto ed a un braccio che iniziò a sanguinare, ebbi la sensazione che la mia guerra stava già per finire, era durata pochissimo e non avevo visto nemmeno il nemico; non avevo ancora scritto a mia madre e disfatto il mio zaino, sarei arrivato e sparito, nel breve giro di poche ore. Mi feci scudo con il mulo, impaurito più di me e pietrificato da tutto quello che accadeva intorno, un altro animale apparve dalle tenebre di quell’inferno, lo vidi correre da solo, senza carico, correva come un pazzo e cambiava direzione ad ogni scoppio, scomparve dal mio orizzonte seguito dai sibili e dagli scoppi delle granate che non cessavano di cadere; ero schiacciato in questa piccola rientranza di roccia, ferito e stordito e non riuscivo più a trattenere il mulo che iniziava a dare segni di nervosismo; compresi in quel momento il motivo del nome dato a quella gola, compresi il silenzio dei soldati prima di partire, la calma dei gesti, gli sguardi fissi su quella strada, erano dettati dalla consapevolezza di andare incontro all’ultimo viaggio della propria esistenza. Le granate cessarono di cadere e seguirono istanti di silenzio, tutto bruciava, fumava; la natura stava morendo e con lei gli uomini stavano decidendo chi dovesse seguirla per primo. Decisi di uscire dal riparo e riprendere a correre verso il pianoro o qualche altra posizione sicura, superai le rocce che mi avevano dato riparo e ritrovai in breve tempo il sentiero, non dovevo essere tanto lontano dal pianoro e dalla fattoria, il monastero era sparito dalla mia vista coperto ora da uno sperone di roccia, dove continuavano a cadere colpi di artiglieria. Il sentiero ora era più agevole, in leggera salita, la strada era giusta ed affrettai il passo. Passarono pochi minuti e sentii delle voci, non erano concitate, erano voci normali, sembrava una conversazione, mi diressi verso quelle voci e trovai una grotta, ne uscirono 4 inconfondibili elmetti ed altrettante divise da parà, mi salutarono con delle pacche sulle spalle, la loro calma mi tranquillizzò, sorrisi e bevvi un po’ d’acqua chiedendo dove fosse la fattoria, mi indicarono la strada e mi dissero di fare presto perché mancava un po’ tutto, ripartii e pensai di non aver fatto nessun cenno di quello che avevo visto in precedenza, quei corpi sarebbero rimasti li se non lo avessi detto a nessuno. Avanzai per la strada che mi avevano indicato e dopo pochi minuti iniziai a vedere le mura della fattoria, era una costruzione imponente da quello che potevo vedere, man mano che la vista si avvicinava mi rendevo conto che era stata centrata più volte dall’artiglieria e ridotta in macerie in molte sue parti, costeggiai un muretto di pietre grigie e mi ritrovai sul pianoro… dove incontrai per la prima volta la guerra ed il volto del nemico. Rimasi fermo qualche istante e fui richiamato dalle grida di un ufficiale davanti alla breccia fatta su un muro che mi avvisava di stare al coperto, proseguii verso la fattoria, ma davanti a me c’era il campo di battaglia, non potevo non osservarlo, era il mio primo campo di battaglia, decine di carri distrutti, rottami sparsi ovunque per effetto delle mine ed i corpi dei nemici sparsi nei pressi dei carri, dovevo muovermi con attenzione perché c’erano i campi minati, oltrepassai un carro sherman riverso su un lato, tra i rottami riconobbi il volto del nemico, non era molto diverso da quello che avevo incontrato prima, era seduto con le spalle appoggiate al carro, forse in un ultimo tentativo di portarsi in salvo, mi piegai per prendere il suo elmetto, era la seconda volta che mi capitava oggi, era la seconda volta che coprivo il volto di un soldato; un colpo di fucile ed un sibilo fecero eco nella valle, il colpo prese la lamiera del carro e d’istinto mi gettai a terra, dalla fattoria risposero al fuoco e nei brevi secondi che ne seguirono rimasi bloccato in terra con la corda del mulo fra le mani e l’animale che tentava di divincolarsi per fuggire da quel rumore, lo tenni stretto, mi strattonò per qualche metro e alla fine decisi che dovevo compiere fino in fondo il mio dovere, mi alzai ed iniziai a correre verso la fattoria tirando l’animale, mentre i colpi di fucile cercavano di centrarmi, come i colpi di mortaio che iniziarono a cadere nel tratto di pianura dove mi trovavo, i colpi erano sempre più vicini come vicina era la meta, l’ufficiale continuava a gridare e darmi indicazioni, ma non lo sentivo, vedevo i parà muoversi in velocità fra le rovine e puntare tutto quello che avevano in direzione opposta alla mia, il mulo sembrava rallentare la corsa per cambiare direzione, lo tenni ancora più stretto tenendolo per la testa e cercando con tutta la forza rimasta di portarlo dove volevo io, la ferita la braccio si fece di nuovo sentire ma ora non era il momento di curarsi di lei, tenni duro ed arrivai fino alla breccia, ormai non ce la facevo più, due parà corsero verso di me, uno prese il mulo e lo portò al sicuro un altro mi prese sottobraccio e mi portò dentro la fattoria in un angolo dove tenevano i feriti. Per qualche minuto si scatenò l’inferno, i nostri risposero al fuoco con l’artiglieria dalle retrovie ed il nemico usò i suoi calibri più pesanti, qualche calcinaccio venne giù ma alla fine tornò la calma e con essa i lamenti di quanti intorno a me erano stati meno fortunati. Mi rialzai e mi diressi verso l’ufficiale, lo trovai intorno al mulo, insieme con i suoi parà, avevano aperto le casse e stavano tirando fuori il contenuto, alcune pagnotte, un contenitore di metallo, caricatori, colpi di mortaio, alcuni pacchi di bende ed altro materiale per curare i feriti; ad ogni parà l’ufficiale diede un pezzo di pane e un pezzo di carne dal contenitore; mi rimase impressa la gioia nei loro volti e le mani sporche che afferravano il tutto dopo aver riposto l’arma a tracollo, il medico prese le bende ed i pacchi di medicazione, mi guardò, ringraziandomi e sparì tornando verso l’infermeria, le casse ora erano vuote, i parà erano riuniti a gruppi e si rifocillavano mentre altri rimanevano di guardia in attesa del loro turno. Mi incamminai fra di loro ed al passaggio nei pressi di ogni gruppo ricevevo un saluto ed un ringraziamento, uno di loro mi offrì un po’ del suo pasto che accettai, il pane non era più candido, la carne era fredda e l’acqua era torbida, eppure per ognuno di loro era la forza per continuare, erano le riserve di energia fisica per proseguire; della forza morale non ne avevano bisogno, tanto che ne diedero un po’ anche a me, quando, finendo il pasto, iniziarono a scherzare sulla via della morte e sulla paura che mi ero preso, si alzarono e passando davanti a me, per il cambio di turno, mi salutarono ognuno a suo modo: una pacca sulla spalla, una battuta sui miei capelli biondi, sul mio odore di mulo, sulla mia divisa da fanteria; iniziai a sorridere come loro, mi sentivo uno di loro, avevo fatto qualcosa di buono e di utile per loro, speravo già di ritornare il giorno dopo e di ritrovarmi di nuovo con loro e magari scambiare due parole, in fondo non avevo detto loro nemmeno come mi chiamavo… ma non lo avevo detto nemmeno ai miei amici di ieri e non conoscevo i nomi di nessuno. Ritornai a grandi passi verso il mulo che nel frattempo era stato sistemato per il viaggio di ritorno, una cassa era ancora aperta e tutti i parà vi si avvicinavano per poi andare via, mi avvicinai e guardai dentro… era piena di lettere, iniziai a piangere, mentre la chiudevo e tiravo le cinghie del mulo per ripartire lungo la via della morte, forse non li avrei rivisti più o forse domani ci sarebbe stato un altro Otto Gruber a portare loro il rancio. Il cancello del cimitero di Caira si chiuse alle mie spalle, appoggiato al mio bastone fui accompagnato all’auto, dal finestrino la pioggia deformava i contorni dei cipressi e delle croci, un ultimo sguardo e ripartimmo per la Germania; non riuscii a salutarne uno in particolare di quei ragazzi, non ne conoscevo i nomi, ma a tutti volli raccontare la mia piccola storia, sperando che fra di loro ci fossero quelli di cui non seppi mai il nome ma di cui conobbi la forza, la fedeltà e l’onore ed ai quali dissi di aver consegnato e fatto partire tutte le loro lettere.

Dedicato a tutti gli Otto Gruber che guidarono i muli per la valle della morte e non sono tornati.

Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.

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