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DUE PAROLE CON COSTANTINO JADECOLA, L'AUTORE DI "LINEA GUSTAV" E "MAL'ARIA"
Data: 17-03-2007Autore: ALBERTO TURINETTI DI PRIEROCategorie: La tragedia dei civiliTag: #today, bibliografia, civili

DUE PAROLE CON COSTANTINO JADECOLA, L'AUTORE DI "LINEA GUSTAV" E "MAL'ARIA"

E’ molto schivo, di poche parole, ma se avete occasione di visitare con lui qualsiasi centro od abitato tra Frosinone e il Garigliano, tra la valle di Comino, le Mainarde ed il mare di Formia, resterete sbalorditi.
Con tutta la cortesia di cui è capace, vi condurrà in una passeggiata attraverso la storia, tanto che se vi lasciate trascinare, giocando con un minimo di fantasia, rischiate di imbattervi ora in un gruppo vociante di comari sannite, ora in un gruppo di dame e cavalieri spagnoli che passeggia sulla Via Latina, ma, attenzione, è anche possibile un incontro con una banda di briganti col trombone; fino a tornare ai giorni nostri, in un bar, davanti ad un caffè che vorrà offrirvi a tutti i costi.

Costantino Jadecola, nel suo studio, di fronte alla biblioteca, nella linda ed accogliente villetta al centro di Aquino, dove tutto è ordine e buon gusto di sapore antico.

E’ il pomeriggio e la piazza principale, luogo d'incontro per eccellenza della cittadina, si riempie. Costantino osserva la gente allegra, che se la ride. Guarda la Chiesa...

"Certamente era più bella prima della guerra"

dice, con quel suo fare un po’ sarcastico

"Eh, si, i bombardamenti, il fronte, i combattimenti. Qui è stato tutto distrutto."

C’è una vena di malinconia nella sua voce.
E’ nato nel 1940. Della guerra ha soltanto ricordi confusi, ma alla ricostruzione di fatti ed eventi di quel periodo ha legato buona parte della sua vita, quella dedicata ad un’innata passione per la storia.
Ha scritto molto, ha pubblicato tanto, ma i suoi due libri dedicati ai civili nel periodo bellico, “Linea Gustav”, e negli anni del dopoguerra, “Mal’aria”, restano due capisaldi per chiunque voglia capire le sofferenze di migliaia di esseri umani in una delle zone più colpite dalla II guerra mondiale.

"Ciao, ci vediamo domani mattina."

Lo saluto, si è fatto tardi. Costantino verrà a prendermi a Cassino e mi porterà a Vallerotonda, poi a Collelungo.

Sant’Elia Fiumerapido, giornata grigia: in paese una croce con i simboli della Passione, ma sulla punta della lancia c’è infilata una bomba a mano americana!
Si sale per i tornanti verso Viticuso ed Acquafondata: la strada dei rifornimenti per la Valle del Rapido, ma anche dei civili morti in quel tragico incidente del 18 febbraio 1944.

"Si, è successo qui, a questa curva. Sai, ho conosciuto dei superstiti..."

e Costantino racconta...
Lo interrompo, sono curioso, vorrei sapere qualcosa di più su di lui.

"Dimmi un po’, ma dov’era la tua famiglia? Si, voglio dire in quel periodo..."

"I miei abitavano ad Aquino, ma lasciarono la città dopo il bombardamento della notte fra il 19 ed il 20 luglio 1943. Trovarono alloggio a Colle San Magno, un piccolo e tranquillo borgo di montagna. Allora nessuno avrebbe potuto immaginare quello che sarebbe successo.
Con l’inverno cominciarono i guai e gli stenti, fino al 12 gennaio 1944, quando i tedeschi ci buttarono fuori di casa. Dovevamo sfollare ed i miei fecero appena in tempo a prendere l’indispensabile. Finimmo a Ferentino, dove c’era un campo di raccolta, poi a Roma, in treno… su un carro bestiame, naturalmente.
In un certo senso fummo fortunati, perché alla periferia della città, ci fu un allarme aereo e la vigilanza dei tedeschi si allentò. Riuscimmo a scappare e a rifugiarci da alcuni parenti. Ritornammo ad Aquino, dopo un viaggio di due giorni, nell’ottobre 1944. Non puoi immaginare che rovina..."

Ecco Vallerotonda, la strada per Collelungo.
Non c’è anima viva su per la ripida salita.
Poi la croce al fondo della valletta, in riva al Rio Chiaro.
Il silenzio, la neve poco più sopra.
La pace del creato.
Difficile pensare a quel mattino del 28 dicembre 1943, il giorno dei Santissimi Martiri.
Gli spari, le urla, i corpi che si abbattono, le donne, i bambini...
Costantino tace.
Se non fosse che ho già letto il suo libro, questa volta la mia guida non mi sarebbe di aiuto, perché l’emozione è troppa. Scendiamo verso Filignano, dove ci aspetta un amico.

“Ma perché hai scritto della strage? Proprio di questa? Quel tuo libro, “Vallerotonda 1943, la strage dimenticata?”

“Albè” – dice Costantino – “e se no chi ce pensava?”

Tutto lì.
Chi ci avrebbe pensato a ricostruire giorno per giorno la paura, l’ansia di quelle famiglie che cercavano rifugio nella montagna, che si spostavano nel freddo e nella neve, che vivevano in grotte e capanni; che “sopravvissuti ai soprassalti del XX secolo, si sono trovati di colpo a vivere nella Preistoria”, come ha scritto un autore francese.
La memoria che si spegne tra cerimonie ufficiali e monumenti.

E’ nato così anche l’altro suo grande lavoro: “Linea Gustav”, stampato nel 1994, ora introvabile.

Questa volta siamo diretti ad Esperia: Pontecorvo, il cippo dei Francesi alla quota 101, San Oliva, Monticelli, le curve a gomito, quelle della colonna tedesca.
Poi su verso Pòlleca, accompagnati da un testimone d’eccezione, il dottor Luigi Marolda.
La casa colonica del barone Roselli, il valloncello dei Serini, i cavalli bradi. Tutto come allora.

“Costantino” – insisto – “ma cos’è stato a spingerti a dedicare tanto tempo ai civili durante la guerra”.

Non è facile farlo parlare di se stesso.

“Io penso che la guerra tra il 1943 ed il 1944, con la sua assurda durata, abbia distrutto le regioni meridionali del Lazio e per questo debba essere considerata un evento epocale del male assoluto. Ma, secondo me, così non è stato. Se si escludono le cerimonie di facciata riproposte alle consuete scadenze annuali, non mi sembra che, né ieri né tanto meno oggi, di quella tragedia sia stato opportunamente mantenuto il ricordo.”

Forse ha ragione.
Nella quiete di Pòlleca, mi vengono in mente le pagine di “Linea Gustav”.
Anche lassù un inverno di fame, le famiglie rinchiuse in stalle, in ovili, nelle grotte, le razzie dei tedeschi, la speranza ed il desiderio della fine, l’arrivo dei Marocchini, le violenze, le lunghe file nella discesa allucinante verso Spigno e Minturno.
Passeggiamo costeggiando la casa di Luigi Cappelli.

“Vedi“ – racconta Costantino – “Linea Gustav” è stata praticamente la conclusione di una ricerca iniziata trent'anni prima, negli anni Sessanta, quando pubblicai sulla pagina provinciale de “Il Tempo” una serie di articoli sulla guerra nel Cassinate. Collaborò con me Domenico Tortolano che poi pubblicò questi articoli in un volumetto intitolato "I cannoni di Cassino" nel quale, però, per mia scelta, il mio nome non comparve.
Tra il novembre 1983 ed il maggio successivo, pubblicai invece su un mensile edito a Cassino, “Lazio Sud”, una serie di articoli sul medesimo argomento.
Dieci anni dopo, e siamo al cinquantenario, nel 1994, mentre “Linea Gustav” era ormai in corso di stampa, ogni sabato, tra il 5 settembre 1993 ed il 4 giugno successivo, proposi sul quotidiano “Ciociaria Oggi” 44 articoli, ognuno dei quali, con qualche foto, riempiva una intera pagina.
Nello stesso tempo realizzai per “Tele Universo”, un telegiornale che andò in onda dal 14 ottobre 1993 (il giorno-anniversario nel quale i due ufficiali tedeschi si recarono a Montecassino per suggerire il salvataggio del patrimonio culturale dell'abbazia) al 4 giugno 1994, proponendo, sera per sera, le notizie del corrispondente giorno di cinquant'anni prima: si chiamava "La guerra giorno per giorno" e dai rilevamenti tipo Auditel si seppe che era seguito da circa trentamila utenti.”

Adesso capisco perché il libro è così ricco di notizie, perché non vi è cittadina o paese che non vi vengono toccati, perché avvenimenti apparentemente minimi vi sono citati, ma soprattutto perché nel libro la battaglia del Garigliano è lo sfondo e non il palcoscenico della rappresentazione di una tragedia.
Sono le storie della gente comune, della quale, almeno all’epoca, pochi si erano ancora occupati.
Per questo il libro, scritto in un linguaggio secco ed asciutto, è irripetibile.

Torniamo ad Esperia, ripercorriamo la strada per Pontecorvo.

“Ferma, ferma! Quella è la Villa Bergamaschi. Allora c’era un comando tedesco” – dico io.

Dopo mi sentirò uno stupido.

“Può darsi – mi risponde Costantino – ma la storia della villa ebbe un seguito dopo la guerra.”

E già, perché se la guerra fu una tragedia, il dopoguerra ne fu soltanto il seguito, pieno di rabbia e di umiliazioni.
Le ricerche erano continuate e ne era uscito un secondo libro, “Mal’aria”, pubblicato nel 1998.

“Si, l’ho scritto nella profonda convinzione che, al di là dei memoriali con i quali si sono ricordate le strategie adottate, al di là delle tante opere sull’andamento militare della battaglia, c'era tutta una popolazione che di quegli eventi era stata la vittima sacrificale e che per questo meritava anch'essa quanto meno di essere ricordata.”

“Vedi” – aggiunge Costantino – “proprio in questa villa, grazie ad un privato, fu aperto un dispensario per la cura della Malaria. Chi si ricorda dei morti per la Malaria? Nel 1944-45, ma ancora per gli anni a venire, se ne contarono centinaia e centinaia. All’origine dell’epidemia ci furono i danni provocati dai tedeschi, che avevano rotto le dighe sul Rapido, inondando vasti tratti della pianura e la gente non aveva i mezzi per difendersi.”

Già, quel titolo, “Mal’aria”, quell’aria pestilenziale che copriva il Cassinate nel 1944-45, quando chi vi transitava si copriva naso e bocca con una benda o un fazzoletto per la paura di essere contagiato.
Il ritorno dei profughi, avviliti di fronte ai cumuli di macerie, le strade ed i ponti distrutti, la fame, il mercato nero, la ricerca di un lavoro, l’emigrazione, la morte nei campi per l’infinità di ordigni ancora attivi, l’inizio della ricostruzione, ma anche la speculazione di troppi politici da strapazzo.
C’è un tratto del libro che incanta.
Lo sapevate che qualcuno, più intraprendente di altri, si mise a coltivare il tabacco, ad essicarlo, a conciarlo, a tritarlo, fino a produrre sigarette, regolarmente confezionate in pacchetti da 10?
Un’imprenditoria di casa, durata per molto tempo, alla fine perseguita dai Monopoli di Stato!

Devo tornare a Torino, ma Costantino mi ha già portato a Castro dei Volsci, a Pico, a Lenola, a Campodimele; a Spigno, a Castelforte, ad Ausonia, a Coreno; a S. Ambrogio e a S. Andrea; poi a San Pietro Infine, a Venafro, fino ad Acquafondata, per ridiscendere a Cassino.
Ogni paese con le sue memorie… che ritrovo in “Linea Gustav” e in “Mal’aria”.

Squilla il telefono di casa.

“Ciao, Albè. Sono Costantino.”

“Ueh, che piacere. Come stai?”

“Guarda che abbiamo trovato il posto di quella fotografia, non è in Alta Italia, come avete scritto, è a Fiuggi, vicino a Frosinone!”

Gli avevo portato il catalogo fotografico di una mostra sulla guerra in Italia, organizzata a Torino. Fra le immagini, quella di una povera donna impiccata, trovata tra le raccolte del “Bundesarchiv”, a Friburgo. Non sapendo la località, nella didascalia c’era genericamente scritto “in Alta Italia”.

“No, no – mi dice Costantino – è proprio Fiuggi. Domani andiamo a fotografare il posto. Il fatto l’ho descritto sull’ultimo libro, quello sui bombardamenti a Frosinone, curato con Maurizio Federico”.

Rimango senza parole.
Ma Costantino mi sta già parlando del catasto borbonico di Aquino, argomento della sua nuova ricerca...

Nel caso in cui il testo derivi sempicemente dall'esposizione, con o senza traduzione, di documenti/memorie al solo fine di una migliore e più completa fruizione, la definizione Autore si leggerà A cura di.

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