Così di fronte alla realtà naufragarono le speranze degli uffici competenti di ottenere un numero elevato di
lavoratori.38
Accanto al reclutamento volontario per il Reich, le misure tedesche tendevano a introdurre in Italia il lavoro
obbligatorio per ricavarne manodopera in misura adeguata ai bisogni della Wehrmacht su suolo italiano. A questo
scopo, Kesselring rimise in vigore la relativa legge italiana del 1940. Il ministero delle Corporazioni e le
«Confederazioni fasciste» per l'industria, il commercio e l'agricoltura da esso dipendenti dovevano convocare
negli uffici di collocamento a Roma tutti quegli appartenenti alle classi 1910-1925 che rientrassero nelle
categorie soggette al lavoro obbligatorio. Costoro presumibilmente sarebbero confluiti nell'organizzazione di
Zimmermann. Si calcolava che soltanto a Roma si sarebbero presentate in breve tempo 90.000 persone. Ma anche
questa volta si registrò un completo fallimento: tra il 24 settembre e il 4 ottobre furono arruolati 16.000
uomini, ma 11.325 di essi furono restituiti al servizio del lavoro italiano in quanto ad esso indispensabili,
altri 3.577 furono esonerati perché in possesso di un certificato medico che li dichiarava inadatti, cosicché
furono soltanto 936 gli arruolati per la Wehrmacht. Un migliaio di uomini anziche i 90.000 sperati!39
A questo punto, gli organizzatori tedeschi passarono alle misure coercitive dirette: con il coinvolgimento
della polizia italiana, furono attuate di sorpresa «azioni di cattura». Il 27 ottobre, da un autobus delle
linee urbane romane, Atac, della linea 207 furono fermati e condotti via tutti gli uomini giovani, che vennero
poi concentrati in una caserma cittadina. Ma questi reclutamenti forzati suscitarono tale inquietudine nella
popolazione romana che i giovani delle classi di leva coinvolte si nascosero o fuggirono nelle campagne. Da
Roma si seppe che un gran numero di giovani (10.000, venne calcolato) si erano rifugiati nella città del
Vaticano e nei conventi adiacenti, altri si erano nascosti nelle catacombe e nelle gallerie della metropolitana
per sfuggire ai tedeschi.40 Il Servizio di sicurezza di Roma giudicò poco sensato attuare un
«rastrellamento» dei nascondigli in quanto, per mancanza di forze proprie, ci si sarebbe dovuto rivolgere
agli esecutori italiani, i carabinieri: «Ma i carabinieri spesso procedono in modo da suggerire addirittura
la fuga ai giovani di leva». L'incaricato del Servizio di sicurezza a Roma giudicò inutile se non addirittura
dannosa l'applicazione di mezzi coercitivi, poiché i «conoscitori della psiche italiana» sapevano che «il
lavoratore italiano poteva essere indotto a impegnare per intero la sua capacità di lavoro solo se trattato
individualmente e con bontà. In lui le misure coercitive provocano ribellione, impegno soltanto apparente e
spirito di sabotaggio».41 Si trattò di un riconoscimento importante, che dimostrò come almeno
una parte del Servizio di sicurezza anteponesse la carota al bastone nella lista delle priorità.
Anche il ministero degli Esteri sembrò condividere tale valutazione. Fin dal 20 settembre, Ribbentrop era
riuscito a persuadere Hitler dell'utilità di procedere con la propaganda psicologica: fece trasmettere a Rahn
un piano per una «azione di propaganda in grande stile», che avrebbe dovuto far cadere i lavoratori nella
rete tedesca con l'aiuto di un falso manifestino «di Eisenhower»: «Con ogni mezzo bisogna riuscire a far sì
che sia i soldati congedati sia il resto della popolazione maschile abile alle armi e al lavoro si sposti
dall'Italia centro-meridionale all'Italia settentrionale sotto il potere tedesco»:42 Per poter
disporre di manodopera che era considerata così importante, il governo tedesco cercò di far credere che gli
Alleati avevano l'intenzione di trasferire grandi masse di lavoratori in Inghilterra e in America una volta
che fossero riusciti a occupare il paese.43
Questi primi ordini di spostamenti scaturivano dalla prospettiva dei militari di dover presto abbandonare
l'Italia centrale. Mentre nel settembre 1943 le misure per tali spostamenti erano ancora dettate dal timore
di una rapida avanzata alleata, già ai primi d'ottobre prese il sopravvento l'ipotesi di una prolungata
stabilizzazione del fronte nell'Italia centrale. Ora, secondo il Servizio di sicurezza di Roma, la misura
decisiva era una legge che regolasse l'obbligo del servizio di lavoro in Germania «per il territorio
controllato per un più lungo periodo dalle truppe tedesche». Nella situazione data, però, prevaleva ancora
una grande confusione sul ruolo che avrebbe potuto svolgere in futuro il governo italiano a proposito del
reclutamento di manodopera.44 Ma allorché il 30 settembre arrivò a Roma Sauckel, nei colloqui
tra Kesselring, Kappler, Sauckel e Kretzschmann si manifestarono opinioni divergenti sulla politica da
seguire: Sauckel intendeva infatti trasferire in Germania, in aggiunta ai prigionieri di guerra, altri
3.300.000 lavoratori! Non soltanto Kesselring ma anche il Servizio di sicurezza di Roma respinsero il
programma di massima di Sauckel, che consideravano una utopia.45 Più che dubbie dovettero
apparire le possibilità di reclutare sistematicamente i 3.600.000 uomini validi che si riteneva fossero
presenti nell'Italia occupata, data la scarsa collaborazione dell'esecutivo italiano e l'evidente disposizione
alla fuga dei reclutati, come era risultato chiaro a Roma. Per la popolazione italiana, il prevalere dell'uno
o dell'altro gruppo costituiva senza dubbio una differenza sostanziale. Il conflitto si fece più acceso su
una questione decisiva: in che modo realizzare il reclutamento. Sauckel intendeva coinvolgere la Wehrmacht
per legalizzare e attuare l'azione, mentre i suoi interlocutori - tutti schierati sulla linea politica di Rahn -
si richiamavano alla competenza del governo italiano. Pertanto non si raggiunse l'accordo su nessun punto:
«nè su chi doveva emanare la legge per il servizio del lavoro che gli italiani dovevano svolgere in Germania
(il governo italiano oppure Rommel-Kesselring), nè su chi doveva attuare le misure necessarie (governo italiano
o Wehrmacht)» nè sulle misure da considerare necessarie. Sauckel, irritato, dovette ripartire da Roma senza
aver concluso nulla, e annunziò che intendeva ottenere una «decisione del Führer» per poter imporre il suo
punto di vista.
Nello stato maggiore del «comandante della polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza»
di Verona venne fatta propria la tesi degli uffici romani, in contrasto con i piani di Sauckel, e caldeggiato
il coinvolgimento del governo italiano per il reclutamento.46 La proposta avanzata fu di far prelevare
i lavoratori soggetti agli obblighi del servizio del lavoro dai carabinieri e senza convocazione preventiva.
Alla Direzione generale per la sicurezza del Reich venne richiesto di intervenire in questo senso negli
imminenti colloqui di Berlino, sventando così i piani di Sauckel. Il Servizio di sicurezza, dunque, sostenne
una linea in pieno accordo con la tattica di Rahn. Quest'ultimo comunque riuscì, anche senza l'intervento di
Berlino, a imporre la propria linea. Il 10 ottobre si recò in volo al lago di Garda per un colloquio con Rommel
e Toussaint e qui, richiamandosi al decisivo ordine del Führer del 10 settembre, poté ottenere che «senza
intaccare il nostro potere di controllo per tutti i settori, formalmente la responsabilità per tutte le questioni
civili fosse lasciata al Duce e al governo fascista». Soltanto in «casi d'importanza vitale» avrebbero potuto
esserci interventi da parte tedesca. Egli riuscì a ottenere l'approvazione di Rommel e Toussaint perché promise
loro nello stesso tempo di far emanare dal Duce le misure da essi desiderate.
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